Enea e noi

Tempo felice, quello che stiamo vivendo, per il troiano Enea, sopravvissuto alla guerra che aveva distrutto la sua patria dopo dieci anni di assedio, protagonista di un lungo viaggio che lo aveva portato ad attraversare l’intero specchio del Mediterraneo orientale per farlo infine sbarcare nel Lazio. Qui l’eroe avrebbe sposato una principessa locale e dato avvio alla dinastia dalla quale sarebbero nati un giorno lontano i fondatori di Roma. Solitamente relegato in una posizione di secondo piano rispetto ai più scintillanti personaggi omerici, da Achille a Ettore a Ulisse, Enea sta conoscendo in questi anni un inedito ritorno e sembra capace di esprimere meglio dei suoi omologhi greci temi e inquietudini del presente. Le sue peripezie di profugo, di esule che ha perduto tutto quello che aveva e si mette in mare alla ricerca di una nuova patria, di naufrago che approda sulle coste dell’Africa prima e dell’Italia poi, bisognoso di tutto e alla mercé di quanti lo accolgono o lo respingono, non possono non richiamare analoghe vicende che segnano profondamente la nostra contemporaneità. Il figlio di Anchise e della dea Afrodite diventa così la controfigura dei tanti migranti di oggi, il cui viaggio ricorda una delle rotte della disperazione che attraversano il Mediterraneo attuale. Anche il difficile approdo dei superstiti troiani prima nel territorio della futura Cartagine e poi in Italia, dove vengono in un primo tempo respinti o devono affrontare una lunga guerra per ottenere il diritto a una nuova patria e l’accoglienza in una terra straniera, non può non rinviare a situazioni che sempre più spesso la cronaca contemporanea ci mette di fronte1. Altre volte, invece, Enea è stato descritto come il prototipo dell’uomo che nel mezzo di una crisi epocale deve fare appello solo alle proprie risorse e alla propria determinazione per non lasciarsi travolgere dalle difficoltà e trovare ogni volta il coraggio di rialzarsi e di andare avanti: così vedeva l’eroe troiano il poeta Giorgio Caproni, che nei suoi versi assimila Enea all’uomo emerso dalle rovine della Seconda guerra mondiale, senza più un passato al quale fare ritorno e in marcia verso un futuro che stenta ancora a disegnarsi all’orizzonte. E in termini non dissimili lo ha visto di recente Andrea Marcolongo, in un saggio non a caso intitolato alla Lezione di Enea, nel quale il personaggio virgiliano diventa icona della resilienza, intesa come capacità di fronteggiare un contesto fortemente penalizzante senza farsene schiacciare. Per non parlare del fatto che la vicenda dell’eroe può semplicemente essere raccontata, in pagine di struggente bellezza, come accade nel recentissimo volume di Giulio Guidorizzi, studioso provetto e suggestivo narratore dei miti antichi. Insomma, ad oltre duemila anni dal momento in cui il poeta Virgilio ha posato lo stilo con il quale aveva composto la storia delle sue avventure, il condottiero troiano sembra avere ancora qualcosa da dire, o addirittura da insegnare, ai suoi remoti discendenti.

D’altra parte, questa circostanza è legata anche a un aspetto concreto, al quale non sempre si presta la dovuta attenzione. L’Eneide di Virgilio, il capolavoro assoluto del più grande poeta latino di tutti i tempi, ebbe la ventura di diventare quasi subito un testo scolastico: già pochi anni dopo la morte del suo autore, la lettura del poeta entrò a far parte dei programmi di insegnamento e da allora di fatto non ha mai smesso di essere riproposto agli studenti, generazione dopo generazione. Se ci chiedessimo che cosa hanno in comune un liceale di oggi e un allievo della scuola augustea, così abissalmente distanti per lingua, cultura, immaginario e valori, ebbene una risposta plausibile e illuminante potrebbe essere proprio questa: l’uno e l’altro hanno letto l’Eneide. Conosciuto ininterrottamente anche durante i secoli del Medioevo, il poema virgiliano è davvero uno dei grandi fili rossi nella storia della cultura occidentale, un elemento fortissimo di continuità che ne attraversa per intero tutta la parabola. C’è solo da augurarsi che scelte politiche dissennate non vogliano spezzare in futuro questa continuità, recidendo un legame che nessuna epoca storica si è finora sentita legittimata a cancellare.

Enea prima di Enea

Ma Enea non è solo l’eroe del grande poema virgiliano. Anzi, quando l’autore latino ha messo mano al suo mito, quest’ultimo aveva già alle spalle quasi un millennio di vita, e nel corso di tutto quel tempo aveva continuato ininterrottamente a modificarsi, trasformarsi, imbarcare al suo interno avventure e personaggi inediti, acquisire significati nuovi, essere impiegato da poeti, storici e mitografi per i loro scopi. È il privilegio del quale godono i miti e che li distingue da ogni altro genere di narrazione: i miti sono tutt’altro che racconti statici, dati una volta per tutte, ma al contrario traggono la propria vitalità proprio dal fatto di essere aperti a una continua metamorfosi, che li mantiene costantemente al di qua di una definitiva cristallizzazione. Anzi, ancora nel momento in cui Virgilio decide di occuparsene, la storia di Enea è ben lontana dall’aver raggiunto una piena stabilità: certo, alcuni nodi si sono ormai fissati e non cambieranno più nel corso del tempo, ma ce ne sono altri, tutt’altro che secondari, per i quali invece il racconto appariva ancora allo stato fluido, costringendo il poeta a optare tra varianti diverse e versioni contrastanti. E nell’Eneide accade persino che queste varianti compaiano l’una accanto all’altra, in punti diversi del poema, perché il poeta non aveva ancora fatto la scelta che le avrebbe presumibilmente ridotte a unità: la morte prematura, che impedì a Virgilio di dare al suo capolavoro l’ultima revisione, ha finito così per lasciarle lì dov’erano, nella loro contraddittoria coesistenza.Ecco che dunque chi volesse scrivere una biografia di Enea dovrebbe utilizzare molti altri documenti, oltre all’Eneide. A cominciare dal bellissimo Inno omerico ad Afrodite, una vasta composizione arcaica nella quale si racconta come e perché la dea dell’amore e del desiderio venne costretta un giorno da Zeus a recarsi sui prati del monte Ida e a salire il letto del pastore Anchise, simile agli immortali nell’aspetto, dando luogo all’amplesso dal quale sarebbe nato Enea5. Di seguito, il nostro biografo dovrebbe compulsare l’Iliade, dove Enea non è certo un personaggio di primissimo piano, ma ricopre comunque un ruolo di spicco fra i difensori di Troia. Lì è possibile scorgere per un attimo il quadro dell’eroe bambino allevato dal valoroso Alcatoo, marito di una sua sorellastra, nella grande dimora di Anchise; e sempre nell’Iliade sono rievocati episodi che vedono come protagonista un Enea ormai giovane e stimato guerriero, alle prese con i massimi campioni dell’esercito invasore, da Diomede allo stesso Achille, lungo tutto l’arco del decennio che vede l’assedio di Troia. Per non parlare delle complesse vicende che all’indomani della guerra conducono Enea dapprima sulle falde dell’Ida, la montagna sulla quale un tempo era stato concepito, poi, a mano a mano che la sua storia viene ripresa e modificata, lo vedono trasformarsi in un eroe viaggiatore, che approda su varie sponde dell’Egeo e della Grecia continentale. Qui erano moltissime le località che avevano da esibire al visitatore interessato le proprie memorie troiane, i presunti segni che attestavano il passaggio del convoglio guidato in un tempo remoto dal figlio della dea. Infine, in un momento che non sappiamo precisare, del racconto si impossessarono i romani, che vollero fare di quello straniero, proveniente per di più da una città sconfitta, il proprio antenato, immaginandolo come il padre – nelle versioni più antiche – o il remoto antenato – in quelle più recenti – dei fondatori Romolo e Remo.

Mito e biografia

In una situazione delle fonti così fluida e cangiante è legittimo chiedersi se sia possibile scrivere una biografia di questo tipo o se Enea vada lasciato alla sua esistenza puramente cartacea e letteraria, resistendo alla tentazione di trattarlo come un personaggio storico la cui vita si presti ad essere ricostruita dalla nascita alla morte. In realtà, una sfida di questo genere può essere affrontata e forse vinta se si è consapevoli che una figura del mito non può essere trattata alla stregua di un uomo o di una donna realmente esistiti: e non solo per la banale ragione che si tratta di una figura di fantasia, nata dalla creatività di un autore o di una intera cultura6. Se prima abbiamo sottolineato come il mito sia un racconto che non si fissa mai in una forma definitiva, ma vive e si alimenta delle sue varianti, ora vale la pena di aggiungere che fra tutte queste varianti è impossibile, e anzi persino illegittimo, distinguere tra vero e falso, tra autentico e spurio: nel campo del mito non esiste una versione che sia da preferire rispetto alle altre, un racconto canonico distinguibile dalle sue varianti apocrife. E dunque, mentre chi racconta la vita di un personaggio storico è chiamato a operare scelte ed esclusioni, selezionando fra i documenti e le informazioni in suo possesso quelli che abbiano più chances di avvicinarsi al modo in cui le cose sono realmente accadute, al contrario il biografo di un eroe del mito deve procedere per accumulo: fra tutte le storie che vengono raccontate sul suo personaggio non è chiamato a scegliere, perché nessuna di esse, lo abbiamo detto, è più vera delle altre. Occorre al contrario percorrerle tutte, senza scartarne nessuna a priori: la biografia di un mito non contiene fake news ed è in realtà, inevitabilmente, una somma di biografie. D’altra parte, di questa circostanza, apparentemente spiazzante, non ci si vorrà dolere oltre misura: in fondo, è proprio la disponibilità dei miti antichi ad essere al tempo stesso uno e nessuno quella che permette loro di vivere le centomila esistenze con le quali hanno attraversato, e continuano ad attraversare, la storia di una cultura e i pensieri degli uomini. E che ci spinge ancora, a così grande distanza di tempo, a cercare anche in Enea una possibile risposta alle domande che affaticano il nostro presente.

Note

1. In questa prospettiva la vicenda di Enea è ampiamente rievocata in M. Bettini, Homo sum. Essere “umani” nel mondo antico, Einaudi, Torino 2019.

2. Cfr. il recente G. Caproni, Il mio Enea, a cura di F. Giannotti, Garzanti, Milano 2020.

3. Alludo ad A. Marcolongo, La lezione di Enea, Laterza, Roma-Bari 2020.

4. G. Guidorizzi, Enea, lo straniero. Le origini di Roma, Einaudi, Torino 2020.

5. Si tratta precisamente del primo e più ampio componimento in onore di Afrodite tra quelli compresi nella raccolta, fruibile tra l’altro al lettore italiano nell’edizione degli Inni omerici curata da G. Zanetto, Rizzoli, Milano 1996.

6. È quanto chi scrive ha cercato di fare in M. Lentano, Enea, Salerno editrice, Roma 2020.