Nel momento in cui l’Italia ha aderito all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo sostenibile si era consapevoli si essere di fronte a una sfida molto ambiziosa. Transitare verso un modello economico basato sulla sostenibilità richiede investimenti enormi e anche qualche sacrificio da parte degli utenti finali (oggi tutto ciò che è green costa di più di ogni prodotto tradizionale), a fronte di vantaggi che saranno percepibili solo sul lungo periodo. Questa, almeno, è l’opinione diffusa, anche se sono sempre di più gli analisti che provano a considerare la riconversione ecologica non solo in prospettiva ambientale e della tutela della salute umana, ma come una grande opportunità per superare la stagnazione sociale ed economica che affligge l’Italia e tante altre nazioni sviluppate. Per molti esperti si tratta di puntare su un cambiamento epocale, non ancora avviato del tutto, come vedremo, ma di cui si cominciano a intravedere alcuni segnali.
Bisogna, infatti, dire che sul fronte italiano qualche buona notizia per quanto riguarda gli obiettivi verso uno sviluppo sostenibile già c’è, come testimoniano anche gli annuali rapporti dell’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile). Il nostro paese, infatti, è ai vertici europei nel settore dell’agricoltura biologica (obiettivo 2), con quasi il 20% dei terreni agricoli non più coltivati in maniera tradizionale, ed è tra le nazioni d’Europa più virtuose dal punto di vista della produzione elettrica (obiettivo 7). A dirlo è stato l’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) che ha analizzato i parchi elettrici dei principali stati europei sotto il profilo delle fonti utilizzate, dell’efficienza di trasformazione e dell’emissione di gas serra. L’ISPRA ha rilevato che il parco termoelettrico italiano è tra quelli a minore contenuto di carbonio, con una quota di gas naturale tra le più elevate in Europa. L’Italia eccelle inoltre nell’eco-innovazione (obiettivo 9): le imprese italiane che hanno investito in prodotti e tecnologie “verdi” per ridurre l’impatto ambientale e abbassare il livello di emissioni di anidride carbonica sono ben 355.000. Ancora: tra il 2010 e il 2017 le emissioni di gas serra sono diminuite nel nostro paese del 15% mentre la percentuale di riciclaggio dei rifiuti è passata dal 36,7 al 49,4%.
Anche sul fronte dell’uguaglianza e dell’inclusione sociale (obiettivo 10) si rilevano alcuni miglioramenti. Tra il 2010 e il 2017 la presenza delle donne negli organismi decisionali è aumentata del 4,4% e in questo stesso lasso di tempo è anche cresciuta del 6% la percentuale dei cittadini che completano le scuole superiori. Soprattutto, gli ultimi sondaggi hanno mostrato una grande sensibilità da parte degli italiani nei confronti del tema dello sviluppo sostenibile. Ben l’80% si dimostra favorevole a una politica che promuova la sostenibilità. E un’altra buona notizia è arrivata nell’agosto del 2019 con l’approvazione della legge sull’Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica (Legge 20 agosto 2019, n. 92, in vigore dall’anno scolastico 2020-21), che prevede almeno 33 ore all’anno, dalla prima elementare alla quinta superiore, per “formare cittadini responsabili e attivi e promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità” (art. 1). Nell’art. 3 della legge si parla espressamente di Agenda 2030, a sottolineare la centralità ormai assunta del tema dello sviluppo sostenibile.
Nonostante questi risultati, il rapporto ASviS 2019 attesta come l’Italia sia comunque in forte ritardo rispetto ad alcuni goals fondamentali dell’Agenda 2030 (si veda l’elenco completo degli obiettivi al sito).
Recentemente si è ad esempio registrato un arretramento rispetto agli anni precedenti nell’obiettivo 1, con l’aumento nell’ultimo periodo della povertà assoluta e relativa. Si regredisce anche sul fronte dell’obiettivo 8, che mira a incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, oltre a un’occupazione piena e produttiva e a un lavoro più dignitoso per tutti. L’economia italiana sta arrancando da anni e a farne le spese sono soprattutto i giovani e le regioni dell’Italia meridionale che da tempo sono in forte sofferenza. Allo stesso tempo il nostro paese non è riuscito a fare progressi decisivi e omogenei sul territorio nazionale nel rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili (obiettivo 11), sul fronte della conservazione e utilizzazione durevole di mari e risorse marine (obiettivo 14) e per quanto riguarda la protezione dell’ecosistema terrestre (obiettivo 15). Anche lo spreco di risorse idriche resta enorme nel nostro paese, a causa di infrastrutture inefficienti (obiettivo 9). Si calcola che quasi il 40% dell’acqua immessa nelle reti degli acquedotti vada persa prima di arrivare alle abitazioni.
Al 2030 mancano una decina di anni e se si vuole rispettare l’impegno preso con la sottoscrizione dell’Agenda Onu è tempo per l’Italia di fare una scelta precisa per il proprio futuro. Secondo molti osservatori la green economy è attualmente l’unica via per risolvere non solo i problemi legati all’inquinamento e alla diminuzione delle fonti energetiche fossili, ma per riattivare una crescita economica capace di creare benessere, occupazione e profitto all’interno di un quadro di sostenibilità. Per green economy si intende un modello di sviluppo che valuta l’attività produttiva sia in base ai benefici che derivano dalla crescita, sia in base all’impatto ambientale dovuto alla trasformazione industriale delle materie prime. Da questo punto di vista si tratta di passare da un’economia lineare a una circolare.
In una organizzazione “lineare” la materia prima viene lavorata e trasformata in prodotto, il quale viene poi distribuito per essere consumato. Finito il suo utilizzo, termina anche il ciclo di vita del prodotto, che diventa rifiuto. Questo costringe la catena economica a ripetere continuamente lo stesso schema: estrazione, produzione, consumo, smaltimento.
Nell’economia circolare, viceversa, il sistema è pensato per “rigenerarsi” da solo. Tutte le attività, a partire dall’estrazione e dalla produzione, sono organizzate in modo che i rifiuti prodotti da qualcuno diventino risorse per qualcun altro. Le materie prime vengono lavorate sulla base di progetti che hanno già come obiettivo principale la sostenibilità. Il consumo dei prodotti finiti passa attraverso pratiche di riuso e riparazione, avviando in un secondo momento la raccolta per il loro riciclaggio. Soltanto una piccola parte della materia usata viene quindi trattata come rifiuto da smaltire.
Il green e i vantaggi per l’economia e il lavoroLa green economy offre nuove possibilità occupazionali, i cosiddetti green jobs, cioè quei lavori – nei settori agricolo, manifatturiero e dei servizi – che contribuiscono alla sostenibilità del sistema. Spesso non lo si considera a sufficienza, ma la riconversione produttiva necessita di ingegneri, chimici e numerose altre professionalità specializzate che possono essere impiegate nella progettazione e costruzione di edifici ad alta efficienza energetica, nell’assemblaggio di pannelli solari, nella ricerca di nuovi materiali isolanti, e così via. I dati attuali sono piuttosto incoraggianti. Secondo l’Eurostat nei paesi dell’Unione europea la ricchezza prodotta dai settori dell’economia verde è passata da 135 a 289 miliardi di euro tra il 2003 e il 2018. L’incidenza sul Prodotto interno lordo europeo nel 2018 è stata del 2,1% rispetto all’1,4% di 15 anni prima. Questo progresso è confermato dai segnali sul fronte dell’occupazione. I green jobs sono aumentati in 15 anni del 49%, mentre l’occupazione nei settori tradizionali è cresciuta del 6%. Nel 2018, nell’Unione europea 4,2 milioni di persone risultavano impiegate nell’economia verde mentre nel 2003 erano 1,4 milioni. Anche in questo campo l’Italia fa la sua parte: è, infatti, tra gli stati dove l’economia circolare funziona meglio e dal punto di vista occupazionale la green economy crea circa 320 mila nuovi posti di lavoro ogni anno. Un piano di investimenti legato alla transizione può quindi avere ripercussioni economiche grandemente positive perché non porta soltanto alla scomparsa di alcune attività e produzioni ma ne crea di nuove. Impone quindi un cambiamento strutturale da un settore a un altro. Il risultato è un modo nuovo di lavorare e rapportarci con il territorio, l’ambiente e noi stessi.
Proponiamo sui singoli temi trattati qualche spunto operativo da proporre in classe per attivare negli studenti, sin dalla Scuola secondaria di primo grado, una sempre maggiore consapevolezza relativamente agli obiettivi di uno sviluppo sostenibile e alla importanza della propria azione come cittadini.1) Nel territorio in cui vivi sono attive iniziative legate al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030? Fai una ricerca in proposito e poi confrontati in classe.
2) Qual è la percentuale di riciclaggio dei rifiuti nel comune in cui vivi? Come è organizzata la raccolta differenziata? Discuti con i tuoi compagni su che cosa si potrebbe fare per migliorare l’efficienza della raccolta.
3) Spreco di acqua e consumo eccessivo di suolo sono due vere e proprie piaghe nel nostro paese. Fai una ricerca su quello che accade nel territorio in cui vivi e condividi le tue conclusioni con la classe.
4) Sono state avviate iniziative a livello istituzionale per favorire la green economy nella tua regione? Fai una ricerca in proposito.
5) Fai alcuni esempi di oggetti di uso quotidiano che oggi vengono gestiti abitualmente secondo i criteri dell’economia lineare e che potrebbero essere inseriti in un circuito economico circolare.
6) Fai una ricerca sulle professioni totalmente nuove che stanno nascendo grazie alla green economy.