Sono passati quasi cinquant’anni da quando gli scienziati lanciarono l’allarme sulla rapida diminuzione dello strato di ozono nell’atmosfera terrestre. Allora la comunità scientifica e i governanti di tutti i Paesi del mondo presero coscienza del problema e collaborarono per limitare questo pericoloso danno ambientale, e ora il buco dell’ozono si sta rimarginando. Anche oggi siamo di fronte a una minaccia climatica: se in quell’occasione si intervenne in maniera rapida ed efficace, che cosa invece oggi impedisce che si riproponga uno scenario simile?

C’è un buco nell’ozono

Nel 1974 due ricercatori dell’Università della California, Rowland e Molina, registrarono nell’atmosfera – precisamente nella stratosfera, la zona compresa tra 15 e 60 km dal suolo – una concentrazione anomala di clorofluorocarburi (CFC). Questi composti chimici contenenti cloro, fluoro e carbonio stavano consumando lo strato di ozono, in particolare nelle regioni antartiche, e soprattutto nella stagione autunnale. Si creava quindi un buco sempre più vasto, che venne rilevato e osservato con l’ausilio di sensori a bordo di satelliti. Lo strato di ozono funziona come un ombrello per le radiazioni solari che, grazie alla sua presenza, vengono filtrate perdendo il loro potenziale dannoso. L’ozono è quindi indispensabile alla vita sulla Terra e la sua drastica riduzione allarmò tutta la comunità scientifica, che diffuse prontamente la notizia.


La richiesta di intervento da parte degli scienziati sollevò l’interesse della comunità internazionale, ma incontrò la ferma resistenza da parte dell’azienda che deteneva il monopolio nella produzione di CFC, il colosso francese DuPont. Le perdite economiche che sarebbero derivate dall’interruzione della produzione di freon (questo il nome commerciale dei CFC) spinsero l’azienda a opporre ogni possibile ostacolo alla divulgazione e all’affermazione delle ricerche sullo strato di ozono.Fortunatamente, però, si giunse alla decisione condivisa di interrompere la produzione di questi gas inquinanti. Le rilevazioni della NASA confermarono infatti i risultati scientifici indipendenti e nel 1989 tutti i Paesi del mondo firmarono il Protocollo di Montreal, che stabiliva la dismissione delle sostanze in grado di minacciare l’integrità dello strato di ozono.Sul banco degli imputati c’erano soprattutto i CFC, per i quali fu programmato un bando graduale, prima nei Paesi con economie avanzate e successivamente in quelli in via di sviluppo. In ogni caso, il 2010 venne individuato come data limite, entro la quale il bando avrebbe avuto un’adesione planetaria.

A che punto siamo?

La lotta al buco dell’ozono è stata sostanzialmente vinta, ma è tutt’altro che terminata. Da quando sono state effettuate le prime ricerche in atmosfera e dalla firma del Protocollo di Montreal, molte cose sono cambiate: gli strumenti di rilevazione si sono evoluti e perfezionati, individuando anche buchi “stagionali”, limitati a periodi circoscritti di tempo ma non per questo meno pericolosi; sono state prodotte nuove sostanze chimiche, non presenti nella lista dei composti messi al bando dal Protocollo e su cui bisogna vigilare sempre attentamente; infine il cambiamento climatico ha portato ulteriori elementi di rischio per l’atmosfera terrestre.Oggi più che mai, l’atmosfera terrestre ha dunque bisogno di essere monitorata e protetta. Il bando dei CFC è stato fondamentale per salvare il pianeta, ma non bisogna dimenticare che le molecole di CFC rimangono nella stratosfera fino a 100 anni senza perdere la loro azione distruttiva. Secondo le ultime rilevazioni, il pieno recupero dello strato di ozono in Antartide – il punto più debole dell’ombrello atmosferico – dovrebbe avvenire entro il 2060. Per la lettura dei dati più recenti sul buco nell’ozono si può consultare la pagina web (in inglese) gestita dal programma europeo Copernico.

 

La storia del buco dell’ozono, della sua scoperta e delle azioni che ne hanno determinato la graduale riduzione possono avere una funzione per così dire “didattica” nei confronti della situazioni di allarme climatico che oggi l’umanità sta affrontando.In entrambi i casi – buco dell’ozono e cambiamento climatico – è in gioco la sopravvivenza della vita sul pianeta Terra, e i entrambi i casi la comunità internazionale si è attivata per definire regole e iniziative che frenassero il fenomeno (il Protocollo di Montreal nel 1989 e l’Accordo di Parigi del 2015). Tra i due casi esiste però qualche differenza sostanziale.Innanzitutto, nel caso dell’ozono il responsabile era chiaramente individuabile, i CFC, e il fatto che fosse prodotto per gran parte da una sola azienda facilitò l’efficacia dell’intervento. Il cambiamento climatico, invece, è un fenomeno così generalizzato che coinvolge responsabilità molteplici e a diversi livelli (anche noi, nella nostra quotidianità, siamo responsabili dell’inquinamento atmosferico). Per questo è un avversario difficile da circoscrivere e combattere, i cui maggiori attori hanno gioco facile nel rimpallarsi le responsabilità.Inoltre, pur trattandosi in entrambi i casi di fenomeni planetari, il cambiamento climatico presenta un’estensione così vasta e multiforme che lo rende onnipresente e, per così dire, inafferrabile. Gli elementi in campo sono così numerosi e poliedrici che risultano difficili da affrontare in modo complessivo e coerente.Rimane certo, comunque, che la riduzione del buco dello strato di ozono ha contribuito a proteggere il pianeta e a ridurre l’intensità dell’effetto serra nell’atmosfera, evitando disastrose conseguenze.