Karl Marx nasce il 5 maggio 1818 a Treviri. La famiglia di religione ebrea si converte al protestantesimo per opportunismo politico, ma si mantiene in generale su posizioni agnostiche.
Il padre di Karl Marx è un avvocato brillante e colto e trasmette al figlio un’educazione di stampo liberale e razionalistico.
Tra il 1835 e il 1836, Marx si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza prima a Bonn e poi a Berlino. Entra in contatto con i seguaci di Hegel e studia a fondo il suo pensiero. Passa, così, alla facoltà di Filosofia e si laurea a Jena con una testi sulle Differenze tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro, mostrando di preferire indubbiamente la seconda, che riconosce all’uomo quella libertà negata dal meccanicismo di Democrito.
Diventa caporedattore della Gazzetta renana, ma il governo prussiano lo costringe a trasferirsi a Parigi nel 1843, dove stringe amicizia con Engels, figlio di un industriale inglese, un’amicizia che durerà tutta la vita.

Nel 1843 pubblica Critica della filosofia del diritto di Hegel: inizialmente poco conosciuta, poi ne sarà sottolineata l’importanza al fine di comprendere in modo organico il pensiero di Marx. Marx riprende la critica mossa ad Hegel da Feuerbach: Hegel ha trasformato realtà empiriche in allegorie di una realtà spirituale, che abiterebbe occultamente dietro essa e ne costituirebbe il significato. Sostanzialmente Marx accusa Hegel di misticismo logico: il concreto diventa manifestazione dell’astratto ed ecco che la realtà diventa manifestazione dello Spirito o dell’Assoluto.
Marx si propone, perciò, tramite un processo trasformativo, di correggere quel rovesciamento tra soggetto ed oggetto operato dall’idealismo di Hegel. 

L’atteggiamento di Hegel si trasformava in un conservatorismo politico retto da una prospettiva giustificazionista: invece di limitarsi a constatare l’esistenza della monarchia prussiana, in virtù dell’identità tra essere e dover essere, ne legittima la validità, assumendo una posizione reazionaria. Marx riconosce, ad ogni modo, ad Hegel il merito di aver concepito la realtà come una totalità storico-processuale, costituita da elementi concatenati tra loro e mossa da una serie di opposizioni.

Nel 1844 escono a Parigi gli Annali franco-tedeschi, sui quali compaiono due saggi, che segnano il passaggio di Marx al comunismo. Sempre nel 1844, approfonditi gli studi economici, stende i Manoscritti economico-filosofici, primo approccio di Marx all’economia politica.Analizza in particolar modo l’economia borghese. Essa è l’espressione teorica della società capitalistica. La borghesia non coglie però la dialetticità del reale: eternizza il sistema capitalistico, considerandolo come il modo naturale, immutabile e razionale di produrre e di distribuire la ricchezza; ecco che considerano, tra l’altro, la proprietà privata come un dato di fatto naturale e perenne, un postulato da cui parte qualsiasi indagine di economia. L’economia borghese non coglie la conflittualità insita nel sistema capitalistico, l’opposizione tra capitale e lavoro salariato, tra borghesia e proletariato. Opposizione che si esplica nell’alienazione.

L’alienazione indica la perdita o la cessione di un bene. In Hegel, ad esempio, l’alienazione era il momento in cui lo spirito usciva fuori da sé, per farsi natura al fine di riappropriarsi di sé, dopo essersi riconosciuti come realtà che è ragione e ragione che è realtà. Ha, perciò, un significato sia negativo che positivo. In Feuerbach, ad esempio, l’alienazione ha un valore esclusivamente negativo: l’uomo estrania da sé il positivo, concentrandolo in una potenza estranea a cui si sottomette, Dio. Marx parte dalla concezione di Feuerbach, ma, mentre quest’ultimo aveva inteso l’alienazione più a livello coscenziale, Marx la considera come un fatto reale, di natura socio-economica: l’alienazione economica è la condizione del proletario all’interno della società capitalistica.

  • Il lavoratore è alienato rispetto al prodotto della sua attività: il prodotto che l’operaio produce, il capitale, non gli appartiene, essendo nelle mani del capitalista.
  • Il lavoratore è alienato rispetto alla sua stessa attività: il lavoro, inizialmente il fine dell’uomo, diventa lavoro forzato e quindi un mezzo per soddisfare altri bisogni. Così l’uomo si sente animale quando dovrebbe sentirsi uomo, cioè lavorando, e uomo, quando si comporta da bestia, mangiando, bevendo, procreando.
  • Il lavoratore è alienato rispetto alla propria essenza – wesen: ciò che differenzia l’uomo dall’animale è che quest’ultimo agisce solo in vista di un bisogno, mentre l’uomo produce anche cose inutili, ma belle; nella società capitalistica il lavoratore è costretto, invece, ad un lavoro unilaterale e ripetitivo.
  • Il lavoratore è alienato rispetto al prossimo: è l’uomo stesso che causa l’alienazione dell’altro uomo.

La causa dell’alienazione è la proprietà privata dei mezzi di produzione: il possessore della fabbrica può utilizzare il lavoro degli operai salariati per accrescere la propria ricchezza: nel Capitale, Marx riprenderà tali concetti in termini di sfruttamento e di logica del profitto.

Marx viene espulso dalla Francia, per via delle pressioni da parte del governo prussiano e si trasferisce a Bruxelles, dove, in collaborazione con Engels scrive la Sacra famiglia contro il rovesciamento tra soggetto e oggetto, causa ed effetto operato da Hegel e contro la sinistra hegeliana in generale: l’idealismo è partito dall’idea di frutto per ricavare l’esistenza della pera, della mela e della banana, anziché partire dalla constatazione dell’esistenza della pera, della mela e della banana per ricavare l’idea di frutto; la sinistra hegeliana ha, poi, trasformato questa semplice constatazione in una grande scoperta filosofica. Tesi su Feuerbach e L’ideologia tedesca (1845-1846) segnano il suo distacco definitivo dall’intera filosofia tedesca.

Nel 1847 si tiene a Londra il primo congresso dei comunisti, a cui Marx non partecipa e viene rappresentato da Engels. E nel 1848 pubblicano, Marx ed Engels, il Manifesto del partito comunista, che rappresenta una sintesi efficace della concezione marxista del mondo e i cui punti salienti sono l’analisi della funzione storica della borghesia, la storia come lotta di classe e la critica ai socialismi non-scientifici.

La borghesia viene presentata da Marx come una classe dinamica e rivoluzionaria che ha determinato l’abbattimento della vecchia società feudale portando alla nascita della società capitalistica.Nel società capitalista si individua, invece, lo scontro tra forze produttive sociali e rapporti di produzione privatistici, tra proletariato e borghesia. Per Marx lo scontro risulta inevitabile: la storia è lotta di classe tra una classe in ascesa e una classe dominante al tramonto, una lotta tra liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba. Ora, sostiene Marx, se sociale è la produzione della ricchezza, sociale deve essere la distruzione di essa: ciò vuol dire che il capitalismo contiene in sé, come esigenza dialettica, il socialismo.

Marx è sostenitore, dunque, del materialismo storico: le vere forze motrici della storia non sono di natura spirituale, ma di natura socio-economica. Perciò, è la struttura che determina la sovrastruttura, dove per struttura si intende il modo di produzione, costituito da forze produttive (forza-lavoro, mezzi di produzione, conoscenze tecniche) e rapporti di produzione, e per sovrastruttura i rapporti giuridici, le forme dello Stato, le dottrine etiche, religiose, filosofiche ecc. La struttura si mantiene tale fin quando c’è equilibrio tra forze produttive e rapporti di produzione; nel momento in cui le forze di produzione diventano sempre più sociali e i rapporti di produzione sempre più privatistici, questi ultimi rappresentano un freno: il sistema capitalistico è destinato ad implodere a causa della concorrenza, crisi cicliche, caduta tendenziale del saggio di profitto.

Il materialismo storico induce Marx a criticare qualsiasi forma di ideologia che definisce come una falsa rappresentazione della realtà: gli ideologi non si rendono conto che le idee non hanno un’esistenza autonoma e le sopravvalutano a tal punto da ritenere che basti cambiare le idee per cambiare il mondo, ma, sostiene Marx, se è la struttura che determina la sovrastruttura, le idee che dominano sono quelle della classe dominante.

Tra il 1848 e il 1849 Marx fonda a Colonia la Nuova gazzetta renana, ma, dopo la controrivoluzione tedesca, è espulso dalla Germania nel 1849.Si rifugia prima a Parigi, ma dopo difficoltà con il governo francese emigra a Londra. Nel 1850 scrive articoli sulla rivoluzione del 1848, pubblicati poi da Engels con il titolo di Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850. Tenta di riorganizzare la Lega dei comunisti, ma questa si scioglie nel 1851. Allora Marx si ritira dalla politica attiva e comincia a lavorare al British Museum. Sopperisce ai problemi economici in parte con la collaborazione con il New York Times, in parte con i benevoli aiuti di Engels.

Nel 1864 viene fondata l’Associazione internazionale dei lavoratori. Nel 1866 redige il primo volume de Il Capitale.

Muore il 14 marzo 1883. Una delle corone di fiori inviata dagli studenti moscoviti reca la scritta: a colui che ha difeso i diritti dei lavoratori nella teoria e li ha fatti valere nella pratica.

Il Capitale

Il Capitale è l’opera più famosa di Karl Marx. L’opera comprende tre parti, di cui solo la prima, intitolata Lo sviluppo della produzione capitalistica, apparve quando l’autore era ancora in vita (1867).

Le altre due parti – Il processo della circolazione del capitale e Il processo d’insieme della produzione capitalistica – redatte dopo la morte di Karl Marx da Friedrich Engels, che usò una grande quantità di note e di abbozzi di Marx, furono pubblicate solo nel 1885-1894. Il Capitale di Marx è considerato il seguito della Critica dell’economia politica, apparsa nel 1859; Marx aveva previsto un quarto libro, per il quale aveva raccolto un’importante documentazione, pubblicata poi da Karl Kautsky nel 1904-1910 sotto il titolo di Teorie del plusvalore.

Nella sua opera Marx si propose:

  • di descrivere il funzionamento dei meccanismi di produzione e di ripartizione delle ricchezze;
  • mostrare le contraddizioni del sistema;
  • di individuare il significato dell’evoluzione delle istituzioni economiche.

Secondo Marx, l’operaio può sussistere in regime capitalistico solo alienando se stesso, ovvero vendendo la sua forza-lavoro. Egli produce merce il cui valore è uguale alla quantità di lavoro fornito, ma il capitalista in contropartita paga all’operaio solo una parte di questo valore, realizzando così un plusvalore. Il plusvalore è tanto più elevato quanto più, per uno stesso salario, l’operaio crea una maggiore quantità di ricchezze. Il capitalista si sforza dunque di versare all’operaio il salario più basso possibile, d’aumentare al massimo la durata della giornata lavorativa o di accrescere la quantità di merci prodotte nel corso di essa grazie all’ammodernamento delle tecniche.Ora, questo miglioramento implica la necessità della concentrazione indefinita delle imprese, cioè la formazione di imprese-gigante che assorbono ed eliminano dal mercato le piccole e medie imprese; ne risulta una trasformazione importante del rapporto tra il capitale variabile – la somma dei salari versati alla manodopera (che si rinnova continuamente con addizione di plusvalore) e il capitale costante – quello impiegato per i macchinari e per eventuali acquisti di merci necessarie alla produzione (improduttivo in quanto non fornisce plusvalore).

A una produzione accresciuta deve corrispondere un maggior numero di consumatori; da qui la necessità di rimettere al lavoro gli operai ridotti alla disoccupazione in seguito alla concentrazione delle imprese.

Ma la creazione di imprese e di industrie nuove esige nuovi capitali che non possono provenire che da un aumento di plusvalore, il quale a sua volta non può derivare che da nuovi progressi tecnici, che suppongono nuovi capitali.I capitalisti si trovano in questo modo di fronte a una serie di contraddizioni alle quali diventerà loro impossibile, un giorno, sfuggire; tanto più che la concentrazione accresce regolarmente il numero delle persone costrette a vendere la loro forza-lavoro e, per ciò stesso, proletarizzate.La complessità crescente delle istituzioni che i capitalisti si trovano obbligati a creare per procurarsi i crediti e assicurarsi una certa sicurezza li induce a fare appello a numerosi collaboratori, con i quali sono costretti, presto o tardi, a dividere il plusvalore.

Le crisi intercicliche si moltiplicano e diventano sempre più gravi e sempre più lunghe. I lavoratori, che rappresentano una percentuale sempre crescente della popolazione, si organizzano; i capitalisti – sempre meno numerosi – che, storicamente, hanno proceduto a continue espropriazioni della proprietà privata originariamente acquisita con il lavoro, sono a loro volta espropriati. Così Marx sostiene che la socializzazione del lavoro e la centralizzazione dei mezzi di produzione e di scambio deve sfociare, inevitabilmente, nella formazione di una società senza distinzione tra lavoratori e datori di lavoro.

Bibliografia