Charles Darwin (12 febbraio 1809 – 19 aprile 1882), naturalista inglese, fu il primo a studiare l’origine dell’uomo. Nel 1831 il giovane Charles Darwin, su iniziativa del suo ex insegnante, sir J. S. Henslow, partecipò a una spedizione intorno al mondo a bordo del brigantino Beagle. La nave salpò il 27 dicembre 1831 e fece ritorno a Falmouth (Inghiterra) solo cinque anni dopo, il 2 ottobre 1836.

Durante il suo lungo viaggio Charles Darwin visitò molti paesi e un gran numero di isole, alcune delle quali erano rimaste quasi inesplorate fino ad allora (Galápagos, Mauritius, Sant’Elena, Ascensione, Azzorre). Constatò l’innumerevole varietà di piante e di animali; il perfetto adattamento di ogni organismo al proprio ambiente; il succedersi delle specie nel corso delle varie ere geologiche. Annotò scrupolosamente su taccuini le sue osservazioni naturalistiche e raccolse numerosi campioni di fauna e flora, che spedì in Inghilterra.
Questi materiali gli consentirono di maturare la sua teoria dell’evoluzione. La teoria dell’evoluzione di Charles Darwin sconvolse non solo il mondo della scienza, ma anche il comune modo di pensare.

Il 24 novembre 1859 Charles Darwin pubblicò l’opera Sull’origine delle specie. Nell’opera proponeva una spiegazione rivoluzionaria, per l’epoca, di un fenomeno che aveva da sempre attirato l’attenzione degli studiosi, quale l’enorme varietà delle forme degli organismi viventi.Durissima fu la critica della Chiesa. Essa giudicava blasfeme le inevitabili implicazioni della teoria evolutiva; vi scorgeva inoltre una minaccia per la sua autorità: l’uomo non era più all’apice della creazione divina, ma il risultato di un lungo processo di selezione naturale, al pari di tutti gli altri organismi.Conciliare un’anima immortale con un corpo “scimmiesco” non era cosa da poco, e gli oppositori non erano solo tra i prelati. Molti intellettuali cattolici e conservatori e perfino alcuni naturalisti rifiutarono e ridicolizzarono le tesi di Charles Darwin, non capendone le reale portata.

Secondo la teoria di Charles Darwin, tutte le specie viventi sono tra loro imparentate e sono discese, attraverso successive modificazioni, da antenati comuni vissuti in epoche più o meno remote. Procedendo a ritroso nel tempo si arriverebbe all’antenato comune di tutte le specie.Darwin articola il suo ragionamento partendo da due osservazioni:

  1. spesso i membri di una popolazione hanno caratteri variabili, la maggior parte dei quali è ereditata dai genitori;
  2. tutte le specie possono generare una prole più numerosa di quella che può poi trovare sostentamento nell’ambiente. La disparità tra numero di individui e risorse disponibili porta necessariamente a una “lotta per l’esistenza”. In questa lotta per l’esistenza sopravvivono i più adatti, cioè gli individui i cui caratteri sono più vantaggiosi. Tutti gli altri non sopravvivono, perché la natura (cibo scarso, clima avverso, predatori, ecc.) opera una selezione naturale.

Gli individui che sopravvivono, quindi i più adatti, riproducendosi, trasmettono ai loro discendenti le caratteristiche vantaggiose, definite adattamenti.

A proposito dell’evoluzione per selezione naturale, è opportuno sottolineare che non sono i singoli individui a evolvere, bensì le popolazioni, che cambiano da una generazione all’altra; inoltre, l’evoluzione non porta a organismi perfettamente adattati, perché un carattere che si è dimostrato favorevole in una situazione può essere inutile o addirittura dannoso in circostanze diverse.

Darwinismo sociale e lotta per l'esistenza

Charles Darwin (1809-82) sosteneva che il numero degli organismi viventi che nasce è superiore a quello che può vivere con le risorse disponibili. Quindi esiste tra i vari individui una continua lotta per poter sopravvivere. In questa lotta prevalgono i più adatti alle condizioni di vita in cui si trovano e trasmettono i loro caratteri ai loro discendenti. Questa sopravvivenza del più adatto è la «selezione naturale»: come l’uomo seleziona artificialmente le specie animali e vegetali più utili ai suoi bisogni, modificandone le caratteristiche, così opera la natura, scegliendo per la riproduzione gli individui che nella lotta per l’esistenza hanno dei vantaggi sopra i concorrenti.La dottrina darwiniana ebbe un’influenza enorme su tutto lo sviluppo scientifico e filosofico del secondo Ottocento ed ebbe un peso notevole anche nelle scienze sociali, dando origine a quel filone del pensiero sociologico che si definisce appunto “darwinismo sociale”.

Il darwinismo sociale tende a vedere la società umana regolata dalle stesse leggi del mondo animale e naturale, quindi dominata anch’essa dalla lotta per la vita, che assicura la sopravvivenza e il dominio al più forte. In effetti la società umana nella sua storia millenaria è sempre stata caratterizzata da conflitti tra le varie classi sociali e il darwinismo sociale pone la lotta per la vita come legge assoluta di ogni forma di società possibile, in tutti i tempi e in tutti i luoghi.

Le tendenze di pensiero più reazionarie ne ricavano la conclusione che l’assetto sociale vigente, fondato sul dominio di una classe sulle altre, corrisponde alle leggi stesse di natura e non potrà mai essere modificato, o addirittura affermano la legittimità e la necessità del predominio del più forte sul più debole, respingendo quelle nozioni di uguaglianza e di democrazia maturate nel corso moderno della storia borghese, dall’Illuminismo e dalla Rivoluzione francese in poi.Queste teorie sono la manifestazione della profonda crisi attraversata dalla coscienza borghese nella seconda metà dell’Ottocento: viene meno la sicurezza di poter dominare concettualmente e praticamente tutta la realtà, la serena certezza in un futuro di pace, di equilibrio senza conflitti e sconvolgimenti, di giustizia, di benessere illimitato.

L’ideologia borghese perde quindi quei caratteri progressivi, tesi all’emancipazione dell’umanità intera, che possedeva durante le lotte rivoluzionarie, si chiude a difesa del dominio della classe egemone da ogni forza che possa contrastarlo e si riduce ad essere una semplice giustificazione dell’ordine vigente, o addirittura un’esaltazione dei suoi aspetti più negativi: la diseguaglianza, il trionfo della forza sul diritto, l’oppressione, lo sfruttamento, non più mascherati e taciuti, ma accettati apertamente come dati “naturali” e necessari a chi detiene il potere.

Bibliografia