Giovanni Spampinato crebbe in una Ragusa che nell'immediato dopoguerra era ricca di giacimenti di petrolio, tanto da guadagnarsi il titolo di "capitale italiana del petrolio", attirando molti per le indubbie opportunità di lavoro e arricchimento. Anche per via del relativo benessere assicurato dai giacimenti petroliferi, la provincia era considerata tranquilla, una "provincia babba".Suo padre Peppino era stato un valoroso comandante partigiano sui monti della Jugoslavia. I suoi atti d’eroismo erano stati compensati con due medaglie d’argento al valor militare. Poi era stato uno dei fondatori del PCI di Ragusa e uno dei dirigenti più noti. Su piano della militanza politica, Giovanni si era sempre distinto da lui, benché ne avesse ereditato le idee di sinistra. I suoi ideali, i suoi principi erano quelli più nobili del Sessantotto: giustizia, uguaglianza sociale, diritto allo studio, diritto al lavoro, politica partecipata dalla base e volontariato sociale: nel 1968, dopo il terremoto che distrusse interi paesi e causò oltre mille morti, andò nella Valle del Belice con i soccorritori.Ottenuta la maturità, si iscrisse alla facoltà di Filosofia dell'Università di Catania, coltivando la sua passione per il giornalismo. Il fatto di essere figlio di un comunista gli causò qualche problema, dato che la stampa siciliana a quei tempi era schierata su posizioni anticomuniste. Ricordato come schivo, riservato, impegnato, e dal cuore grande, la delusione del mondo e delle persone lo portò spesso a periodi di solitudine. Una volta confidò:
L'ironia, l'autoironia mi ha salvato da molti momenti di crisi. Ma anche il vivere così comporta dei rischi: se mi fossi preso più sul serio avrei realizzato qualcosa, non avrei sbandato'.
Nel 1969 Spampinato cominciò a scrivere per il quotidiano "L'Ora" di Palermo, fino a diventarne il corrispondente da Ragusa. Giornale molto prestigioso, diffuso a Palermo, "L'Ora" a Ragusa era letto però solo da una piccola élite, poiché veniva stampato la mattina a Palermo e arrivava a Ragusa solo la sera, in prossimità della chiusura delle edicole. Veniva acquistato, dunque, solo da chi era particolarmente motivato e interessato a leggere il punto di vista di sinistra sulle vicende siciliane, da chi era interessato ad un giornalismo di denuncia e di inchiesta, fatto da giornalisti che non avevano paura di parlare di notizie scomode e di mafia. Fu un giornale impegnato in battaglie civili, che diede voce a tutti e che, anche se politicamente schierato, non rinunciò mai alla sua autonomia redazionale.
Giovanni visse con un po' di frustrazione il fatto di scrivere da Ragusa per un giornale che lì leggevano in pochi, ma vedere i suoi articoli pubblicati lo ripagò sempre. Scrisse anche per "L'Opposizione di Sinistra" e per "l'Unità" dal 1969 al 1972. Tuttavia, il tesserino di pubblicista gli venne assegnato dall'Ordine dei Giornalisti solo dopo la sua morte.
Spampinato cominciò a scavare a fondo sui fatti in provincia di Ragusa. Il contesto in cui si trovava ad operare era quello della Guerra Fredda, quindi generalmente ostile a un giornalista di sinistra come lui. A maggior ragione quando cominciò a interessarsi ai traffici illeciti che avvenivano nelle acque siciliane, dove si svolgeva non solo un contrabbando di sigarette (i sigarettari erano in genere uomini di estrema destra), ma dove sbarcavano anche navi cariche di armi. Non solo: Giovanni iniziò a indagare anche sul traffico di reperti archeologici, intuendo che in queste lucrose attività non erano coinvolti solo delinquenti, ma personalità importanti della società; e che tutti questi traffici avevano un collegamento con la Destra.
Ragusa non era dunque una città tranquilla in una provincia babba: la facilità dei collegamenti tramite il porto consentì, in quegli anni, intensi traffici di contrabbando di sigarette, armi e droga. In questa apparente tranquilla cittadina dilagò il neofascismo.
Spampinato non si occupava tuttavia solo di traffici e di estrema destra: fu molto legato ai giovani, all'istruzione, e ai fermenti del '68 che animarono gli animi:
"I giovani così, i giovani colà. È facile astrarre, creare nuove categorie. Ma il più delle volte ci si dimentica di andare a vedere da vicino questi marziani, non si pensa nemmeno di cercare di capire chi sono e cosa vogliono. Ma vogliamo farglielo dire a loro, chi sono e cosa vogliono?"
E ancora, si interessò ai lavoratori e stette sempre dalla loro parte: scrisse della crisi dell’agricoltura, e delle condizioni in cui gli uomini erano costretti a lavorare nelle serre. Si interessò a problematiche cittadine, prima fra tutte la carenza di risorse idriche. Si occupò anche di analisi economiche e sociali, politiche, di cronaca.
Spampinato scrisse anche di speculazione edilizia, dell’interesse di alcuni giovani neofascisti per reperti archeologici, del prosperare del malaffare in quella parte della Sicilia che riguardava Ragusa (dai rapporti con la mafia fino al traffico di armi e droga). Città in cui si radicava un estremismo di destra attraverso campi di addestramento di forze paramilitari e organizzazioni neofasciste. I suoi furono articoli clamorosi. Tra la fine del 1970 e l’inizio del 1971 Spampinato raccolse una serie di informazioni che rivelarono un intreccio nascosto tra politica, affari, traffici illeciti e attività eversive, che riguardarono in particolare il triangolo Ragusa – Siracusa – Catania, e che si realizzarono nel silenzio delle attività investigative.
Giovanni Spampinato pagò con la vita la sua ricerca della verità, ad appena ventisei anni. Stava indagando sull'omicidio di un commerciante di antiquariato, l'ingegnere Angelo Tumino, da sempre fascista ed ex consigliere al consiglio comunale del Movimento Sociale Italiano. Un caso che riguardò la collusione tra malaffare e istituzioni.
Per fare luce sulla morte dell’ingegnere Tumino, trovato morto il 26 febbraio 1972 nelle campagne di Contrada Ciarberi, a pochi chilometri da Ragusa, Spampinato capì che bisognava indagare negli ambienti frequentati dall’ingegnere: tra la borghesia cittadina e i neofascisti del Movimento Sociale Italiano.
Tumino tra l'altro venne ucciso proprio nei giorni in cui Giovanni, durante le sue inchieste sul neofascismo, rivelò la presenza a Ragusa del latitante Stefano Delle Chiaie, detto il “bombardiere nero”, ricercato per le bombe del 12 dicembre 1969 all’Altare della Patria, e di altri neofascisti (come Vittorio Quintavalle) legati a Junio Valerio Borghese, il quale aveva tentato un colpo di Stato, nel dicembre 1970. Giovanni si appassionò fortemente a quel delitto, dato che Tumino non era un delinquente qualunque ma trafficava reperti archeologici.
Tre giorni dopo il delitto Giovanni scrisse di una pista che portava fin dentro il Palazzo di Giustizia: scoprì che subito dopo il ritrovamento del corpo dell’ingegnere, il sostituto procuratore incaricato delle indagini aveva interrogato un amico della vittima, figlio di un magistrato di Ragusa nonché presidente del Tribunale: Roberto Campria, uno con una passione spasmodica per le armi, e che intratteneva rapporti con trafficanti di opere d’arte.
Campria venne convocato dalle forze dell’ordine, confermando di essere amico dell’ingegnere Tumino ma di non sapere che fosse morto. Parlò delle persone che frequentavano entrambi, sempre nell’ambito di acquisto e commercio di materiale antico. Quello dell’ingegnere Tumino rimase a lungo un omicidio irrisolto. Secondo Spampinato questo accadeva perché si voleva tenere nascosta la responsabilità di qualcuno molto noto, così raccolse informazioni e si rese conto che l’omicidio Tumino era maturato all'interno degli ambienti di estrema destra ma soprattutto in quello del traffico di reperti archeologici. Non si trattava di un omicidio commesso dagli ambienti delinquenziali, ma probabilmente ordinato o voluto da un “intoccabile”. Tuttavia, nessuno osò però scavare e andare affondo a quel delitto.
Giovanni indagò a lungo su quell’omicidio e si pose domande fondamentali: come mai il corpo di Tumino venne rivestito e sistemato con cura? L’ingegnere Tumino venne ucciso in contrada Ciarberi o vi fu portato già morto? Come mai, poco dopo l’omicidio, la macchina (che dalle testimonianze risultò essere proprio quella di Tumino) percorse per due volte a tutta velocità e a fari spenti quella strada? Un uomo da solo poteva spostare un corpo di più di cento chili?
Secondo Spampinato vi era la probabilità che l’assassino non avesse agito da solo. Attraverso varie testimonianze raccolte, il giovane giornalista scoprì diversi elementi: il testimone Gino Pollicita rivelò di aver visto, la mattina del delitto, Tumino insieme al magistrato Saverio Campria (padre di Roberto) e la moglie (notizia che la Procura di Ragusa non approfondì). In secondo luogo, la sera dell’omicidio, la Guardia di Finanza fermò una macchina (probabilmente quella dell’ingegnere Tumino) guidata però da Vittorio Quintavalle (pochi giorni dopo il giudice istruttore smentì di tutta fretta questo verbale). E ancora, i contadini descrissero la figura di Roberto Campria nella persona che era stata vista insieme a Tumino nelle campagne e nel giorno del delitto.Tante furono le stranezze che Giovanni scoprì su Campria: subito dopo la morte dell’ingegner Tumino egli si trovava a casa dell’assassinato per rovistare tra le sue carte; inoltre Campria si trovava con Tumino lungo il tragitto che portava al luogo del ritrovamento del cadavere. Campria non fu mai né formalmente accusato né formalmente indagato. Spampinato fu l’unico a segnalare le anomalie che riguardarono le modalità di indagine del Palazzo di giustizia, ma in questa ricerca della verità venne lasciato solo.In seguito ad un suo articolo, Campria lo querelò per diffamazione, salvo poi non presentarsi al processo e quindi far decadere la querela.
L’idea che si fece Giovanni dell’omicidio Tumino fu questa: l’ingegnere si era messo in traffici illeciti, gestiti dalla mafia, e poi quando decise di uscirne fu ucciso. Giovanni era sicuro che Campria centrasse in prima persona in quell’omicidio, nonostante quest’ultimo dichiarasse la sua estraneità ai fatti, e anzi si avvicinò spesso a Giovanni per chiedergli di scrivere articoli che sottolineassero l’innocenza della sua persona. Giovanni non gli credette mai e anzi cercò di convincerlo a confessare. A seguito di questi tentativi Campria maturò l'omicidio di Spampinato.
Il 27 ottobre 1972 Campria telefonò a Spampinato per chiedergli di incontrarsi, facendogli intuire la possibilità di una confessione; Giovanni, benché avesse un po’ timore di quell’uomo non cedette alla paura e andò. Tuttavia, il neofascista lo uccise con cinque colpi di pistola nella sua auto, e si costituì subito dopo. I giornali l'indomani titolarono: “Assassinato perché cercava la verità”.
Per l’omicidio di Giovanni Spampinato, invece, si tenne il processo nel 1975 a Siracusa, al termine del quale Campria fu condannato a 21 anni di prigione. Durante il processo di appello, il pm Auletta dirà: «Campria aveva paura non per quello che Spampinato aveva scritto, ma per quanto non aveva ancora scritto sulle trame dei fascisti e sui pericolosi traffici nei quali erano coinvolti sia Tumino che Campria. Il delitto è stato una prova di fedeltà a quel mondo». Prova richiesta da chi? E perché? Ad oggi non vi sono ancora risposte a queste domande.
Il 7 maggio 1977 la Corte di Appello di Catania escluse l'attenuante della provocazione per Campria:
«Spampinato pubblicò notizie che rispecchiano la verità, nell'esercizio del suo diritto-dovere di cronaca. […] Non sussiste quindi la provocazione. […] La Corte di Assise di Appello, in riforma della sentenza della Corte di Assise di Siracusa del 7 luglio 1975 esclude l'attenuante della provocazione». Tuttavia, la pena venne ridotta da 21 a 14 anni di reclusione dalla Corte d’Appello di Catania, che riconobbe la seminfermità mentale per Campria.
Nella sentenza del 3 ottobre 1978 venne rigettata la richiesta di ottenere l'attenuante della provocazione per l'omicida Campria:
"Una cosa è certa: le dicerie di un piccolo ambiente (com'è quello di Ragusa) non sono attribuibili all'attività giornalistica, peraltro legittima della vittima, sicché, non è invocabile l'attenuante in esame"
Campria alla fine scontò solamente 8 anni, nel manicomio di Barcellona Pozzo di Gotto.