Nato a Piazza Armerina, in provincia di Enna, figlio di un sottufficiale della Marina militare, passò parte della sua infanzia in Libia, dove il padre si trovava in servizio. Dopo il ritorno in Italia, la sua famiglia si stabilì nel 1931 a Messina, dove il giovane Giorgio Boris studiò fino alla laurea in Giurisprudenza, conseguita nel 1956, e giocò a pallacanestro in serie B nel CUS Messina. Subito dopo cominciò a lavorare per una piccola società manifatturiera, la Plastica Italiana, per poi trasferirsi a Milano con la famiglia, dove iniziò a lavorare come dirigente sempre in una società manifatturiera.
Nel 1962 vinse il concorso come Commissario di Polizia e l'anno successivo chiese e ottenne di essere assegnato alla Squadra Mobile di Palermo, in cui lavorò dapprima alla Sezione Omicidi, in seguito come vice-capo e poi infine come capo dall'ottobre 1976, quando prese il posto di Bruno Contrada. Fu il primo poliziotto italiano a specializzarsi alla National Academy dell'FBI in Virginia, dove allacciò importanti relazioni con i colleghi americani che gli furono fondamentali nelle sue indagini sui traffici di stupefacenti di Cosa Nostra; dopo quell'esperienza, adottò metodi di lavoro innovativi per l'epoca, come le indagini sui conti bancari o l'attenzione a non alterare la scena di un crimine.
Durante la sua attività palermitana si occupò anche delle indagini sulla sparizione del giornalista Mauro De Mauro.
Nel 1978 Giuliano fu incaricato delle indagini relative all'omicidio di Giuseppe Di Cristina, mafioso di primo rango che aveva iniziato a passare informazioni ai Carabinieri sui contrasti interni a Cosa Nostra tra le famiglie palermitane dei Bontade-Inzerillo-Badalamenti e il gruppo dei Corleonesi. L’omicidio di Di Cristina fu il preludio della cosiddetta Seconda Guerra di Mafia, iniziata ufficialmente con l'omicidio del boss Stefano Bontate. In particolare, sul cadavere di Di Cristina furono trovati degli assegni che portarono il capo della Squadra Mobile a indagare su un libretto di risparmio al portatore con 300 milioni di lire, intestato a un nome di fantasia, che era stato usato da Michele Sindona.
A seguito delle sue indagini, Giuliano firmò il 7 maggio 1979 un rapporto di polizia in cui veniva identificata una vasta associazione criminale dedita al traffico di stupefacenti, di cui facevano parte tra gli altri Gaetano Badalamenti e Giovanni Bontate.
Il 19 giugno 1979, invece, un militare della Guardia di Finanza in servizio presso l'Aeroporto di Punta Raisi notò il portabagagli Paolo Briguglio che stava per prelevare due valigie di colore azzurro sprovviste della relativa etichetta di destinazione; insospettito, chiese al portabagagli chi lo avesse incaricato, ricevendo come risposta che era stato un uomo di circa 30 anni, con un accento settentrionale, che lo aveva pregato di portare quelle due valigie nello spiazzale antistante l'aeroporto dove si trovava la sua auto. Tuttavia tale individuo non si era più presentato, così, con l'intervento del personale della Squadra Mobile di Palermo, venivano aperte le due valigie e in una vennero rinvenuti 497.916 dollari U.S.A., suddivisi in 101 mazzette da 5,10,20 e 50 dollari, mentre in entrambe vi erano anche indumenti americani, tra cui magliette in uso nelle pizzerie di New York. Venne accertato in seguito che il bagaglio era giunto da Roma e risultava inesistente l'apparente destinatario, tale Mario Di Giovanni, il cui indirizzo, indicato a mano su una delle due valigie, era via Principe Belmonte 33.
A seguito poi dell'arresto per porto abusivo d'arma da fuoco dei mafiosi Antonino Marchese e Antonino Gioè, gli uomini di Giuliano, grazie a una bolletta ritrovata nella tasca di uno dei due, scoprirono il 7 luglio 1979 il covo di via Pecori Giraldi, dove furono ritrovati 4 kg di eroina purissima, armi e munizioni, nonché una patente contraffatta sulla quale era incollata la fotografia di Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina; in un armadio fu ritrovata anche un'altra fotografia che ritraeva insieme numerosi mafiosi vicini al clan dei Corleonesi, tra cui Lorenzo Nuvoletta, boss della Camorra affiliato a Cosa Nostra. Subito dopo la scoperta del covo cominciarono ad arrivare telefonate con minacce di morte all'indirizzo di Boris Giuliano.
Quello stesso giorno Giuliano si incontrò a Milano con Giorgio Ambrosoli, per approfondire le indagini sul libretto al portatore usato da Sindona. Quattro giorni dopo Ambrosoli venne ucciso da un killer mafioso, per ordine di Sindona. Sul punto Bruno Contrada "riferì all’autorità giudiziaria palermitana di essere in grado di escludere ogni ipotesi di collegamento tra le indagini svolte da Giuliano poco prima della morte e l’affare Sindona, pur nella consapevolezza che l’FBI aveva già provveduto a informare il capo della squadra mobile di possibili collegamenti tra il bancarottiere e la mafia siciliana; non solo, nello stesso rapporto aveva escluso anche l’incontro tra Giuliano e Ambrosoli, pur essendone a conoscenza, neutralizzando ogni spunto investigativo verso un possibile legame tra gli omicidi Giuliano e Ambrosoli.
Qualche giorno prima di morire, dichiarò ai cronisti: «Il 28 luglio vi darò una notizia bomba».
Come scritto nell'Ordinanza-Sentenza del Maxiprocesso di Palermo, verso le 8 del mattino del 21 luglio un individuo, poi successivamente identificato in Leoluca Bagarella, si introdusse nel Bar Lux in via Francesco Paolo di Blasi 17 e sparò diversi colpi di pistola calibro 7,65 contro Boris Giuliano, che si trovava in un locale per bere un caffè come ogni mattina.
L'omicidio avvenne alla presenza di numerosi clienti che, spiazzati dalla fulmineità e drammaticità dell'evento, non riuscirono nemmeno a reagire, tanto che l'omicida poté darsi facilmente alla fuga, raggiungendo a piedi la vicina via Domenico Di Marco e prendendo posto su una Fiat 128, dove lo attendeva un complice. L'auto fu poi ritrovata tre ore dopo in via Lombardia e si accertò fosse stata rubata il 20 giugno 1979 a tale Giuseppe D'Agostino e che la targa era stata contraffatta utilizzando parti di un'altra rubata a tale Cesare Mirelli.