Socrate

Socrate nacque ad Atene nel 470-469 a.C. Il padre Sofronisco, era scultore, mentre la madre, Fenarete, levatrice.
Compì ad Atene la propria educazione giovanile, studiò probabilmente geometria e astronomia, e forse fu scolaro di Anassagora. Si allontanò da Atene solo tre volte per compiere il proprio dovere di soldato e partecipò alle battaglie di Potidea, Delio e Anfipoli. Nel Simposio di Platone, Alcibiade parla di Socrate in guerra come di un uomo insensibile alle fatiche e al freddo, coraggioso, modesto e padrone di sé anche nel momento in cui l’esercito era in rotta. Si tenne lontano dalla vita politica attiva. La sua vocazione, il compito a cui si dedicò e si mantenne fino all’ultimo, dichiarando al tribunale che si apprestava a condannarlo che non lo avrebbe in alcun caso abbandonato, fu la filosofia e trascurò spesso l’insegnamento regolare, vivendo una vita semplice con la moglie Santippe e i figli.

Proveniva da una famiglia di artigiani: il padre, Sofronisco, era scultore; la madre, Fenarete, levatrice. Poco si sa del giovane S., mentre è certo che, verso i quarant'anni si dedicò esclusivamente alla ricerca filosofica fino a trascurare i propri beni, la moglie Santippe e i tre figli. Si sentiva destinato alla rigenerazione morale della società ateniese, a seguito, forse, della conversione all'orfismo. Trascorreva le giornate per le vie, i ginnasi e le botteghe di Atene, in un continuo discorrere e interrogare, per insegnare ai suoi concittadini la ricerca della verità e della virtù. Sicuramente, da giovanissimo, ebbe contatti con Parmenide e Zenone di Elea e conobbe la dottrina di Anassagora. Come cittadino e soldato diede prova di lealtà e di coraggio. Partecipò come oplita ad alcune campagne della guerra del Peloponneso (431-404 a. C.). Salvò Alcibiade ferito nella rotta di Potidea e rifiutò le insegne al valore in favore dell'amico. Esercitò poche volte ma con onestà le magistrature pubbliche e resistette in ogni momento alle pressioni dei Trenta Tiranni.
Restaurato il governo democratico ad Atene per opera di Trasibulo (403 a. C.), S. venne accusato di empietà (asébeia) e d'illegalità (paranomía). L'atto di accusa venne scritto da Meleto, ma il vero promotore del processo era stato Anito, un autorevole esponente del partito democratico che, per la sua attività di mercante, era stato più volte biasimato da Socrate. Il filosofo fu dunque accusato d'introdurre divinità nuove rispetto al culto religioso tradizionale di Atene e di corrompere i giovani. Egli, infatti, parlava spesso di un "demone" che lo avrebbe consigliato nei momenti importanti della sua vita, molto probabilmente una semplice figura retorica, sotto cui si celava la coscienza morale dell'uomo giusto e la certezza di una missione da svolgere per la rigenerazione morale della società greca, travagliata dalla crisi sociopolitica che era la conseguenza delle lotte fratricide e dell'arbitrio dei detentori del potere politico. In realtà i nemici di S. vedevano in lui un pericoloso rivoluzionario, alla stregua dei sofisti, il cui insegnamento corrompeva i giovani, istigandoli alla critica sovversiva nei confronti delle istituzioni ed eliminando dalla loro mente il rispetto della legge. 

L'accusa di empietà rivolta al filosofo aveva, dunque, un valore politico più che religioso, in quanto si riteneva S. reo di un delitto pubblico che ledeva il culto sacro della pólis, mirando a sconvolgere l'ordinamento civile e politico in virtù di un insegnamento sulla verità e sulla giustizia che minava le fondamenta stesse dello Stato conservatore. I nemici politici di S. temevano, infatti, le conseguenze politiche cui portava l'esaltazione della ricerca socratica, secondo cui il governo non spettava né a chi fosse ricco o nobile per diritto di nascita, né a chi fosse eletto dal popolo, ma ai veramente meritevoli per sapere e virtù. L'urto fra conservazione e rinnovamento fu così inevitabile e il processo e la morte di S. ne furono la logica conseguenza.
Nel 399 a. C., condannato dagli Ateniesi, S. bevve la cicuta con serenità filosofica, fedele fino alla fine al suo insegnamento sulla giustizia e sul rispetto della legge cui l'individuo deve subordinare il proprio bene individuale in virtù di quello collettivo. S., infatti, in procinto di morire (Critone) preferì sopportare un illegittimo decreto che lo condannava per illegalità, piuttosto che commettere a sua volta ingiustizia (antadichein) fuggendo dal carcere, secondo il consiglio dell'amico Critone, e sottraendosi in tal modo al suo debito verso la giustizia legale (díche), la quale esigeva che, una volta emessa, la sentenza di morte venisse eseguita.


Frasi Celebri di Socrate


Bisogna mangiare per vivere, non vivere per mangiare.

L'uomo più saggio non è colui che sa, ma chi sa di non sapere.

Sono un cittadino, non di Atene o della Grecia, ma del mondo.