Cristina, filosofa cartesiana?

Cristina di Svezia (1626-1689), diventata regina a soli sei anni, dopo la morte dell’illustre padre, Gustavo Adolfo Vasa, si rivelò una personalità poliedrica e anticonformista, mossa da una sete di conoscenza che la spinse ad avvicinarsi ad alcuni tra i più grandi intellettuali del suo tempo. Per questi suoi interessi e per il suo rapporto con il filosofo Descartes è stata considerata, insieme ad Elisabetta di Boemia1 e ad Anna Maria van Schurman2, una “filosofa cartesiana”.
Grazie al ruolo giocato da Gustavo Adolfo durante la guerra dei Trent’anni (1618-1648), la Svezia era diventata una grande potenza europea, monoliticamente luterana, con una posizione di egemonia incontrastata nel mar Baltico. Entusiasta delle doti della figlia, il padre le aveva fatto impartire un’educazione di primo livello; morto poi il re nel 1632, nella battaglia di Lutzen, Cristina era stata affiancata da un consiglio di reggenza fino alla maggiore età.
Abituata a coltivare le sue facoltà e inclinazioni in modo libero, in grado di parlare fluentemente il tedesco e il francese e di leggere il latino, l’italiano, l’olandese, una volta diventata regina la giovane volle fare della sua corte un luogo paragonabile alle altre grandi regge europee: come Stoccolma doveva diventare l'Atene nordica, così la sovrana lavorò per affermarsi come “Minerva del Nord” per i suoi interessi culturali e il suo mecenatismo. Su imitazione di ciò che accadeva nell’Europa colta del tempo, volle far nascere una sua accademia intesa come sede d’incontro tra studiosi, intellettuali e artisti per dibattere tutta una serie di questioni che lei stessa poneva, mostrando una sensibilità soprattutto per le problematiche di carattere morale. Sul piano filosofico e religioso, tra i temi che più sollecitavano la sua riflessione vi era la questione del libero arbitrio e il confronto tra le tesi luterane e cattoliche in materia. Attenta lettrice dei classici dello stoicismo antico e del neostoicismo moderno (Montaigne e Charron3), giunse ad invitare a Stoccolma lo stesso Cartesio (1596-1650), che le interessava più come autore del trattato sulle passioni dell’anima4 - che infatti il filosofo le dedicò - che come esponente della moderna filosofia naturale. Successivamente la sovrana avrebbe detto che era stato proprio lo scambio con Cartesio, e la conoscenza delle sue tesi sulla possibilità di fare il bene, a darle la prima idea di abbracciare il cattolicesimo, anche se la conoscenza diretta fu deludente per entrambi.

La conversione al cattolicesimo

Poco dopo l’incoronazione ufficiale nel 1650, infatti, Cristina avviò i primi contatti segreti con esponenti del mondo cattolico5. Tre furono gli ordini di considerazioni che la spinsero a fare il grande passo della conversione al cattolicesimo: innanzitutto l’osservazione della condotta di alcuni cattolici, tra cui gli ambasciatori francese, P. Hector Chanut, e portoghese, J. Pinto de Pereira, che le fece intravvedere una maggiore libertà all’interno della Chiesa di Roma rispetto al mondo protestante. Dal punto di vista della sua concezione politica, inoltre, la sovrana era convinta che vi fosse una diretta corrispondenza tra la forma politica monarchica e l’organizzazione gerarchica e fortemente accentrata del cattolicesimo. Da ultimo, rifiutava la visione del ruolo femminile che la tradizione luterana trasmetteva, insegnando che solo il matrimonio e la maternità costituivano la giusta destinazione per una donna. Mentre approfondiva la sua cultura e la conoscenza di sé, infatti, Cristina doveva far fronte alle crescenti pressioni dei dignitari di Stato perché si sposasse.
Sul piano più strettamente teorico, durante i rapporti che intrattenne segretamente dal 1651 con alcuni gesuiti, volle chiarire come si potessero conciliare le posizioni della Chiesa di Roma con le scoperte della nuova scienza, oltre che dibattere i temi dell’immortalità dell’anima, il culto dei santi, la conciliabilità della fede con la ragione. Cristina discuteva, spesso sostenendo di aver già esaminato ogni principio della religione cristiana alla luce della ragione naturale e di non avervi trovato compatibilità; la regina era quindi giunta alla conclusione che la ragione non potesse condurre al cristianesimo, ma che «L’uso del nostro libero arbitrio è il sacrificio più nobile che possiamo offrire a Dio. (…) La ragione non può persuaderci della verità del cristianesimo. Dobbiamo sottometterci ciecamente alla Chiesa di Roma. È l’unico oracolo di Dio»6. Così, dopo qualche mese di profondo turbamento e nonostante lo scandalo prodotto, fece il grande passo: nel corso del 1654, all’età di 28 anni, dapprima abdicò al trono e quindi aderì ufficialmente al cattolicesimo.

L’Accademia reale

Giunta a Roma alla fine del 1655, dopo aver preso anche il nome di Alessandra in onore di papa Alessandro VII, riunì subito un’accademia da camera a palazzo Farnese, sua prima residenza. Nella scelta delle tematiche di discussione l’ex-sovrana intese inserirsi programmaticamente nella cultura cattolica del tempo, preoccupata di contrastare il libertinismo e lo scetticismo, e volle presentarsi come “femme savante”, senza peraltro mai smentire le doti di modestia e ritiratezza che erano richieste ad una donna. La nota Accademia Reale fu però fondata nel 1674 a palazzo Riario7, quando Cristina si stabilì in modo definitivo a Roma, dopo la fine delle sue aspirazioni regali (mancata elezione alla corona polacca; fallito tentativo di ottenere il Regno di Napoli). Anche in questo caso l’obiettivo dichiarato era di natura apologetica, ma con una maggiore attenzione per le questioni etiche, riprendendo gli interessi che fin da giovane aveva espresso; in questo contesto ritornava anche l’interesse per Cartesio, soprattutto come filosofo delle passioni umane. L'Accademia Reale riprendeva, cioè, quella meditazione filosofica che aveva contrassegnato la prima fase della vita della sovrana, dando una sintesi alla sua vicenda umana e politica e spingendola a comporre e riordinare una sua raccolta di massime (divise in due gruppi: Les sentiments héroiques e Ouvrage de loisir8). Tuttavia, la presenza tra i protetti della regina di Giovanni Alfonso Borelli, protagonista della nuova medicina e sostenitore di un meccanicismo atomistico, consente di segnalare il valore dell'Accademia anche per la scienza moderna.
Morì nel suo palazzo romano il 19 aprile 1689, per gli effetti di una polmonite che andò a sommarsi ad un progressivo peggioramento delle condizioni di salute avviatosi l’anno precedente. Insieme a Matilde di Canossa, Cristina di Svezia è l’unica donna che ha l’onore di riposare in San Pietro.


Una concezione pansofistica del sapere

Interessata alla storia, alla raccolta di libri antichi e alle espressioni artistiche, al pari e più dei suoi predecessori, Cristina fece portare in patria (attraverso doni, acquisti, ma anche saccheggi di guerra) un vero tesoro in opere d’arte, scritti, cimeli. In particolare, è famosa la sua acquisizione della collezione dell’imperatore Rodolfo II, avvenuta alla fine della guerra dei Trent’anni. Alla base di questo collezionismo stava una concezione pansofistica del sapere, per cui una collezione doveva costituire un modo per riprodurre e decifrare la complessità del mondo, avvicinando all’essenza nascosta del reale. Lo stesso tipo d’interesse aveva spinto la regina a studiare le lingue bibliche, l’ebraico e il greco, convinta che grazie ad esse fosse possibile l’accesso agli scritti esoterici del passato e alle leggi alchemiche della natura. Se Galileo aveva affermato che il “gran libro” del mondo è scritto in linguaggio matematico, da giovane Cristina fu invece convinta che la chiave d’accesso fosse la parola scritta. Queste convinzioni produssero un ulteriore elemento di delusione nel suo rapporto con Descartes, il quale le fece esplicitamente capire che, a suo avviso, l’apprendimento delle lingue non avrebbe affatto migliorato la comprensione della realtà.


NOTE

1 Elisabetta di Boemia (1618-1680), figlia dell’elettore Palatino Federico V, dal 1643 avviò un rapporto epistolare con Cartesio, alla ricerca di risposte ai tanti mali fisici e morali che la affliggevano. L’importanza dello scambio con la colta interlocutrice fu tale da essere oggi considerato a tutti gli effetti l’antefatto del trattato cartesiano sulle passioni; il filosofo le dedicò, tra l’altro, i suoi Principia philosophiae (1644).
2 Considerata una delle donne più colte del secolo, l’olandese Anna Maria van Schurman (1605-1678) sviluppò i suoi interessi etico-filosofici attratta dapprima dal pensiero cartesiano, e dal dualismo tra res cogitans e res extensa, e successivamente dalle concezioni rigoriste di Jean de Labadie, che voleva uno studio incentrato esclusivamente sui testi sacri. È oggi considerata una precorritrice della teologia femminista per la tesi secondo cui il solo limite esistente per la ricerca femminile è rappresentato dal cielo.
3 Pierre Charron (1541-1603), sacerdote cattolico e amico di Montaigne, fu autore di opere che proponevano una morale naturalistica e una concezione filosofica di tipo scettico, nettamente polemica con il razionalismo della Scolastica: non a caso, la sua opera più importante, il Trattato della saggezza (1601), ebbe diffusione presso gli ambienti libertini.
4 Réné Descartes, Les passions de l’âme, Paris 1649; per una traduzione italiana con testo a fronte, in lingua corrente, si veda l’edizione a cura di S. Obinu, Milano, Bompiani, 2003.
5 Cfr. Veronica Buckley, Cristina regina di Svezia. La vita tempestosa di un’europea eccentrica, Milano, Mondadori, 2004, pp. 159-173.
6 Françoise Kermina, Christine de Suède, Paris, Perrin, 1995, p. 302.
7 Il palazzo è oggi sede dell’Accademia dei Lincei e il suo parco costituisce l’Orto botanico di Roma.
8 Cfr. Wilma di Palma, Cristina di Svezia. Scienza ed alchimia nella Roma Barocca, Bari, Dedalo, 1990, p. 82. L’unico testo della sovrana disponibile in italiano è La vita scritta da lei stessa, Napoli, Cronopio, 1998.

Bibliografia essenziale

  • Buckley, Veronica, Cristina regina di Svezia. La vita tempestosa di un’europea eccentrica, Milano, Mondadori, 2004
  • Di Palma, Wilma (a cura di), Cristina di Svezia. Scienza ed alchimia nella Roma Barocca, Bari, Dedalo, 1990
  • Donato, Maria Pia, Idiomi di straniere a Roma. Cristina di Svezia e la sua accademia in Francesca Cantù (a cura di), I linguaggi del potere in età barocca, II, Roma, Viella, 2009, pp. 229-264
  • Kermina, Françoise, Christine de Suède, Paris, Perrin, 1995
  • Trivellini, Annamaria, Cristina di Svezia, Lucca, Pacini Fazzi Editore, 2004.