Questo progetto intende condurre l'alunno di terza a percepire il peccato quale forma di egoismo, di chiusura verso l'altro. In questo senso, far comprendere che, colui che vive in questo modo, non si realizza come uomo chiamato da Dio a costruire il bene e, allo stesso tempo, non fa vivere pienamente gli altri; distrugge le aspirazioni del prossimo. Il progetto, articolato mediante la visione di alcuni video, vuol mettere in risalto le figure di Giuseppe Impastato e di don Giuseppe Diana: uomini ribelli a qualsiasi comportamento prepotente. Commentando le lori azioni, i docenti possono far comprendere agli alunni che è possibile opporsi al peccato, alle prevaricazioni, riuscendo, nei piccoli gesti quotidiani, a fare il proprio dovere, con generosità e volontà. Nota bene: questo progetto può essere integrato con il power point "contro il male" del materiale didattico classi terze.
La testimonianza di Peppino Impastato
La storia di Peppino è straordinaria non solo perché ai tempi fu uno dei pochi a denunciare le realtà mafiose che in molti ancora fingevano di non vedere, ma perché lui stesso proveniva da una famiglia affiliata al crimine organizzato ed ebbe il coraggio di fare una scelta differente.Giuseppe Impastato nacque il 5 gennaio 1948 a Cinisi, in provincia di Palermo, da Felicia Bartolotta e Luigi Impastato.La famiglia Impastato era molto ben inserita nell'attività mafiosa che stritolava la provincia del capoluogo siciliano (i cosiddetti "amici degli amici"): la sorella di Luigi aveva sposato il boss Cesare Manzella, mentre lo stesso papà Luigi era un amico di Gaetano Badalamenti, il capomafia della zona che, come soleva dire lo stesso Peppino, abitava «a cento passi» da casa sua.
Nel 1977 fondò anche un'emittente radiofonica, Radio Aut, dove lo stesso Peppino conduceva una trasmissione in cui denunciava i traffici loschi di Cosa Nostra (la mafia siciliana) e prendeva in giro politici e malavitosi.Le parole di Peppino aprirono gli occhi a molti scettici riguardo le infiltrazioni mafiose in ogni ambito della vita sociale (nell'amministrazione pubblica, nella sanità, nell'edilizia) e tanti siciliani trovarono finalmente il coraggio di unirsi alla sua battaglia.
Il 9 maggio 1978 Peppino Impastato venne ritrovato nei pressi di un binario ferroviario. Il corpo, quasi irriconoscibile, era stato prima sfigurato dai sassi e poi dilaniato da una carica di esplosivo. Inizialmente le indagini parlarono di un atto terroristico finito male e addirittura di suicidio, ma tutti sapevano che la mano dietro all'efferato omicidio era quella di Cosa Nostra.
Dopo la morte di Peppino, la madre Felicia e il fratello Giovanni si ribellano ai lacci che li legavano all'ambiente mafioso e presentarono alcune prove che riaprirono le indagini e riconducevano la responsabilità del delitto proprio a Don Badalamenti, l'amico del padre di Peppino.Nel novembre del 1997, con quasi vent'anni di ritardo, venne emesso un ordine di cattura per Gateano Badalamenti, incriminato come mandante degli assassini. La condanna arrivò solo nel 2002: Badalamenti e il suo vice, Vito Palazzolo, furono condannati rispettivamente all'ergastolo e a 30 anni di reclusione (Palazzolo fu condannato nel 2001). Entrambi morirono poco dopo.Ora Peppino non c'è più, ma la sua attività ha ispirato film, libri e canzoni, innalzandolo ad un'icona nella lotta alla cultura mafiosa che ancora oggi infesta troppe zone del nostro Paese.
La testimonianza di don Peppe Diana
Giuseppe Diana è stato un sacerdote cattolico, parroco di Casal di Principe (provincia di Caserta) che si è battuto contro la camorra, denunciando i traffici illeciti di sostanze stupefacenti, le tangenti sui lavori edili, gli scontri violenti tra le fazioni della criminalità organizzata del suo paese. Egli ha pagato con la vita la propria coraggiosa attività: è stato assassinato a soli trentacinque anni nella sacrestia della sua Chiesa, mente si accinge a celebrare la messa.
Conosciuto da tutti conosciuto come “Don Peppino”, si batte contro la criminalità organizzata della sua città, nel periodo in cui imperversano in Campania i casalesi, camorristi legati al boss Francesco Schiavone (detto “Sandokan”), infiltrati negli enti locali, nell’imprenditoria. Contro questo stato di cose, Giuseppe scrive una lettera, intitolata Per amore del mio popolo, diffusa nel giorno di Natale del 1991 in tutte le chiese della sua diocesi. Lo scritto un manifesto a sostegno dell’impegno contro la camorra, definita in esso come una forma di terrorismo, che attsaverso la paura impone le proprie inaccettabili leggi e clima di inaudita violenza.
Giuseppe, però, paga purtroppo il suo coraggioso gesto con la vita: la mattina del 19 marzo 1994, infatti, un assassino lo raggiunge, mentre si prepara a dir messa, nella sagrestia della sua chiesa, e gli spara quattro colpi di pistola, mettendo segno una vera e propria esecuzione camorristica.
In memoria di Don Peppinoè nato, il 25 aprile 2006 il “Comitato Don Peppe Diana” a Casal di Principe; nel 2010 invece è a lui intitolata una scuola il liceo scientifico di Morcone (in provincia di Benevento. A vent’anni dalla morte di Giuseppe, nel 2014, è stata trasmessa su Raiuno la miniserie televisiva Per amore del mio popolo, a lui ispirata. Nello stesso anno, è nata a Termoli la Scuola di Legalità, intitolata alla memoria di don Giuseppe Diana e fondata e diretta da Vincenzo Musacchio. Al sacerdote è stato anche dedicato un documentario da Rai Storia, dal titolo Non tacerò, la storia di don Peppe Diana.