Cristianesimo e fantasy

1. Harry Potter

Harry Potter continua a tenere banco nel dubbio se il suo messaggio sia da intendersi positivo o meno per i giovani. Superate le perplessità iniziali, dopo oltre vent’anni dall’uscita del primo libro della saga è sempre più chiaro che dietro al genere fantasy l’autrice ha saputo trasfondere in un nuovo linguaggio tanti dei temi propri del messaggio cristiano. 

Oggi i teologi si confrontano sul messaggio positivo che questa saga riesce a portare nel mondo giovanile e fioccano le letture teologiche che notano sempre più chiari parallelismi tra l’eroica missione di Harry Potter e la simbologia dell’annuncio cristiano. 

Dietro il linguaggio e i temi propri del fantasy, rimbalza infatti un esplicito simbolismo proprio dell’esperienza soteriologica di Cristo: la lotta tra il bene e il male, lo stesso uso della magia che viene messa a servizio degli ultimi da parte di Harry, di Albus Silente, della professoressa Minerva McGranitt ecc. e la distorsione che ne intende fare l’antieroe, Voldemort, “colui-che-non-deve-essere-nominato”, con i suoi seguaci. Un usare la magia per la propria sete di dominio, un distorcere la magia per sovvertire le “leggi creaturali” che volgono tutto al bene. 

È questo lo sfondo della saga e come se non bastasse a dare conferma a questa lettura teologica intervengono anche i “tipi”, da quelli positivi come il giovane Neville Paciock o il puro Rubeus Hagrid, la brillante Hermione (simbolo di un autentico femminismo che esalta la differenza creaturale), la famiglia “cristiana”, umile e sobria dei Weasley, a quelli negativi come i razzisti sostenitori della “purezza della razza” della famiglia Malfoy, l’ipocrita servilismo di Peter Minus/Codaliscia, l’esaltazione del gusto del male di Bellatrix Lastrange, la bieca “banalità del male” di Dolores Umbridge. Per finire con figure enigmatiche come quella di Severus Piton.

Nell’analisi che possiamo fare, gli stessi incantesimi o pozioni sono, ciascuno, una essenziale pillola di fede ben più efficace, forse, di tante lezioni di catechismo, tutte accomunate da un’unica matrice, l’amore. La pozione Felix Felicis, ossia il saper cogliere il senso vero della vita, il proprio posto, unico e irripetibile, nel mondo, l’Expecto Patronum che rievoca il dono gratuito che si regge nell’amore per gli altri, la pozione Amortentia, da cui l’amore che è in grado di giungere fino all’estremo dono di sè, la pozione Veritaserum che è in grado di far dire la verità anche (e soprattutto) a sé stessi facendo cogliere il vero senso della propria missione tra libertà e predestinazione.

La parabola di Dobby, l’elfo domestico della famiglia Malfoy “affrancato” da Harry, è testimone del passaggio da “servi” ad “amici” che è il cuore della libertà donata da Cristo e vissuta nella fede (Gv 15,15).Come non scorgere in ultimo il senso profondo del Mistero pasquale nel sacrificio di Harry che accetta la morte per sconfiggere l’ultimo horcrux che si era insinuato nel corso della prima battaglia con Voldemort e che rappresenta il peccato originale sconfitto da Cristo. 

Come per Gesù, è soltanto nella teologia della croce che Harry rinasce, risorge, come testimone della vittoria del bene sul male, della speranza sulla disperazione, dell’educazione alla magia “di servizio” insegnata ad Hogwards sull’uso della magia a servizio delle proprie brame promossa da Voldemort.

Un riconoscere il senso del limite, che si apre all’Oltre, un Oltre che fa intravedere l’Altro, il cui linguaggio profondo è il linguaggio dell’Amore. L’amore gratuito che è possibile far vivere qui ed ora come risposta alle meschinità del male. L’agape, l’Amore di Dio, l’Amore di Cristo che si fa dono per la salvezza dell’umanità.

2. Il Signore degli anelli

Il Signore degli Anelli, sostengono molti, non è un’opera cattolica perché i suoi contenuti possono essere associati ad aspetti tipici della devozione cattolica; posso citare per esempio il carattere cristologico di personaggi come Gandalf, Sam, Frodo e Aragorn, il simbolismo eucaristico del pane “lembas” elfico, i paralleli cronologici tra l’arco temporale del romanzo e l’anno liturgico, la caratterizzazione mariana di Galadriel, e così via.

L’opera di Tolkien non è neanche “cattolica” in senso etimologico, e cioè per la sua accessibilità e universalità, anche se queste erano proprio le sue aspirazioni: con l’ambientazione precristiana del romanzo Tolkien desiderava infatti parlare alla totalità della sua società contemporanea post-cristiana. Queste aspirazioni si sarebbero realizzate, affascinando milioni di lettori di ogni provenienza, e risvegliando in loro il “desiderio di cose grandi” (come fa Gandalf con gli Hobbit).

Infine, e soprattutto, il cattolicesimo di Tolkien non dipende neanche dal repertorio di “valori” o “concetti” (presunti) cattolici, che vengono spesso identificati nel romanzo da molti lettori – dall’amicizia al sacrificio di sé, dal potere della misericordia all’ecologia, per citarne solo alcuni. I libri di Tolkien rappresentano certamente in forma simbolica elementi della verità cristiana: del resto Tolkien stesso ammise “di avere come oggetto unico l’elucidazione della verità e l’incoraggiamento di una morale buona nel mondo reale”.

Ciò che è veramente cattolico in Il Signore degli Anelli,  è semmai la natura della sua origine, la strada o il metodo che Tolkien ha seguito per scriverlo, la mentalità in cui il romanzo è nato e si è poi sviluppato.Il Signore degli Anelli, infatti, non è emerso come realizzazione di un progetto dell’autore, come il prodotto di un’impresa intellettuale o di una strategia apologetica, didattica o culturale. Tolkien percepiva invece la sua letteratura come qualcosa di “accaduto”, come un frutto inaspettato di una volontà Altra, a cui lui semplicemente offriva la propria disponibilità.

In questo contesto Gandalf è per Tolkien un’entità divina, simbolo della Grazia personificata: in quello strano incontro Tolkien riconobbe dunque Dio stesso, la “Verità” divina, che rivendicava la “co-autorialità” delle sue storie, e gli ricordava il suo ruolo puramente strumentale.Tolkien infatti descrisse spesso se stesso come di un semplice strumento nelle mani di Dio, ed è proprio questo che desiderava diventare fin dall’adolescenza. Come scrisse ai suoi amici di scuola, “La grandezza che intendevo era quella di essere un grande strumento nelle mani di Dio – quella di muovere, fare, realizzare, o per lo meno di incominciare delle cose grandi”.

Questa consapevolezza di essere chiamato ad essere uno strumento nelle mani di Dio, e non principalmente difensore di dottrine o valori a Lui associati, è visibile in tutte le fasi della composizione del Signore degli Anelli. Per Tolkien dunque, se Il Signore degli Anelli risplende della bellezza della verità cristiana, questo non è un prodotto della sua mente, ma è piuttosto mediato da essa. Tolkien percepì, fin dai primi anni, di essere destinato “ad accendere una nuova luce, o, ciò che è la stessa cosa, a riaccendere una vecchia luce nel mondo”, cioè “a testimoniare Dio e la Verità”. Allo stesso tempo non pensò mai che la luce della verità di Dio (che “risplende” nella sua letteratura) provenisse da lui stesso, ma semmai era “rifratta” attraverso di lui – per usare una sua immagine ricorrente.

La bellezza e la verità del Signore degli Anelli, affondano dunque le radici nella fede di Tolkien, da intendersi non come deposito di temi e di valori, ma piuttosto come fonte di un atteggiamento verso le circostanze della vita, vissute come il luogo in cui Dio sviluppa la sua narrazione, una narrazione che richiede la cooperazione (e la co-autorialità) dell’uomo, che consiste innanzitutto nel riconoscimento dell’Autorità del vero grande Autore.

3. Le Cronache di Narnia

A differenza di Tolkien, il quale era cresciuto con un’istruzione cattolica, Lewis, autore del libro, abbandonò la fede all’età di 15 anni a causa “dell’opprimente ambiente delle scuole inglesi”. Il ritorno alla fede avvenne in età matura (e in periodo accademico), Lewis scelse di convertirsi alla fede anglicana. Il racconto di questa fase della vita è presente nelle pagine di Sorpreso dalla gioia, pubblicato nel 1955. Tra le opere che meglio possono spiegare la sua poetica, abbiamo le Lettere di Berlicche, A viso scoperto e Le Cronache di Narnia. Il primo è un piccolo romanzo epistolare satirico, dove un anziano diavolo istruisce il suo giovane nipote su come ingannare e tentare l’umanità; invece, il secondo è una rivisitazione postmoderna della Favola di Amore e Psiche di Apuleio (contenuto nelle sue Metamorfosi o L’Asino d’Oro). Questa è l’occasione per presentare un dibattito sulla religione ai suoi lettori.  Come Tolkien aveva costruito un mondo antimoderno ed epico con tutte le opere ambientate ad Arda (cioè Il Signore degli Anelli, Lo Hobbit, Il Silmarillion, Le avventure di Tom Bombadill e i postumi I Racconti Incompiuti, I figli di Húrin, Beren e Lúthien e La caduta di Gondolin), anche Lewis si cimentò in una simile operazione: nacque così il magico mondo di Narnia. La saga è costituita da ben sette libri, ma soltanto il primo è stato esaminato dai critici letterari del Time e inserito nei 100 romanzi inglesi scritti dal 1923 al 2005 da leggere.

In realtà, tutta la serie può essere letta come un’allegoria cristiana e un tentativo di spiegare la teologia (e anche il mondo classico) ai più giovani. Narnia prende il nome da quello latino di una piccola città umbra, ossia Narni. Tale toponimo era stato affibbiato dai Romani a causa della presenza del fiume Nera (in origine la città si chiamava Nequinum). L’altra connessione tra religione cristiana, l’Umbria e il mondo fantasy creato dallo scrittore irlandese è il nome di una delle protagoniste della sua saga: Lucy. Infatti, la bimba più piccola condivide  il nome con Lucia Broccadelli, una suora e successivamente beata originaria del borgo dell’Italia centrale.

Aslan, il leone sovrano di Narnia, è una figura cristologica. I bambini incontrati nel primo libro (Il leone, la strega e l’armadio) sono i suoi “discepoli” e si sacrifica per salvare Edmund dalle mani della Regina Bianca (quindi dal Male), consegnandosi ad essa.  Aslan viene umiliato dalla strega e dai suoi seguaci, si lascia rasare la criniera e poi muore dopo che la regina gli ha tagliato la gola. In seguito, la belva torna in vita grazie alla magia (l’Antica Legge di Narnia; ovvero se un innocente salva un traditore, allora egli evita la morte) e sconfigge la malvagia Jadis, rea di aver portato un inverno eterno a Narnia. Cosa ci rammenta? 

Si tratta dei passi dei Vangeli in merito alla Passione di Cristo. Nelle religioni antiche esistono anche altre figura che compiono dei sacrifici per poi resuscitare; è il caso di Adone nella mitologia greca, Osiride in quella egizia oppure Baldur in quella nordicaLa studiosa Meredith Rice, in un articolo su Humanum (citando gli studi critici di Charlie W. Starr contenuti nel libro The Faun’s Bookshelf: CS Lewis on Why Myth Matters) afferma che Lewis si riavvicinò al cristianesimo (e ne comprese il significato) dopo aver discusso con i colleghi accademici J.R.R. Tolkien e Hugo Dyson.  Il “mito di Gesù” è simile a quello di altre divinità morte e  risorte (Osiride in quello egizio, Adone in quello greco e Baldur in quello nordico); ma, a differenza di quello degli altri,  il sacrificio di Cristo redime l’umanità dal peccato originale (concetto inesistente in quelle religioni antiche). Mentre i miti antichi sono “favole o bugie”, quello di Figlio di Dio è la rappresentazione di come Dio agisce nella nostra realtà.

Aslan è la rappresentazione di Gesù nel mondo immaginario di Narnia, così come suo padre (l’Imperatore d’Oltremare) è in realtà Dio. Jadis la strega discende da Lilith, il demone femminile compagna di Adamo prima della venuta di Eva. Nel romanzo L’Ultima Battaglia vengono ripresi episodi importanti de l’Apocalisse di San Giovanni; la scimmia parlante Cambio convince l’asino Enigma ad indossare una pelle di leone, fingendo di essere Aslan ritornato per ordine di Tash (Lewis rappresenta il falso profeta, la Bestia del Mare e Satana). Alla fine del romanzo, il vero Aslan rassicura i protagonisti (i bambini oramai cresciuti) che, dopo la distruzione di Narnia, potranno rivedersi di nuovo, dal momento che è venerato  anche sulla Terra con un altro nome. In questo modo, il lettore intuisce che Aslan è la “rappresentazione narniana di Cristo”.

4. Star Wars

La storia si presenta subito come metafisicamente ispirata (al di là della superficie visibile). Una entità spirituale nota come la Forza vive e regge l'universo, ma non è un Dio nel senso cristiano (o monoteista) del termine, giacché la Forza non è onnipotente ma anzi può essere manipolata tanto dai buoni come dai malvagi, padroneggiandola per compiere il bene o a fini egoistici. Varie etnie e civiltà convivono più o meno pacificamente nei vari sistemi solari in contatto fra loro, in un universo di alta tecnologia con viaggi spaziali e armi avveniristiche convivono tribù paleolitiche e civiltà assai evolute.


I Jedi e la Forza

I Jedi sono una bella mistura di templarismo, monachesimo shaolin e altre tendenze guerriere. Celibi, dedicati alla "guerra per i deboli" contro coloro che minacciano la pace, si vestono da monaci (le battute sul padre Pio jedi si sprecano) e, bonariamente, sono i "buoni" della saga: usano la Forza per compiere il bene, dimostrando abilità fuori dal comune che vanno dalla telecinesi al possesso della mente altrui. I loro alter ego malvagi sono i Sith, una sorta di setta che vede nella Forza il mezzo per il raggiungimento di un sempre maggior potere e per il soddisfacimento dei propri desideri. 

Ma la Forza, dopotutto, è catalogabile religiosamente? a cosa somiglia? onestamente, l'unica autentica informazione teologica che emerge nei film è rappresentata dai midiclorian, ossia le particelle senzienti della Forza che vivono in ogni creatura dell'Universo, e che sono il veicolo della Forza stessa usata dai Jedi. Solo un corpo umano che naturalmente possiede molti midiclorian può essere addestrato per diventare Jedi: una sorta di predestinazione ad essere un "guardiano" dell'Universo. Sebbene il saluto Jedi più comune, che la Forza sia con te, è palesemente un remake spudorato della formula liturgica latina "che il Signore sia con te", il concetto di Forza è manchevole di ogni connotazione deistica, perdendosi più in un vago spiritualismo panteista: l'impotenza della Forza nell'essere assoggettata dai malvagi è lontana da ogni idea che gli uomini hanno di Dio quale essere estremamente superiore.

La storia di Darth Pleguis il Saggio (cfr. Star Wars: la vendetta dei Sith) 

L'unico accenno ad una sorta di "Cristo" (da prendere estremamente con le pinze) e proposto in una visione assolutamente negativa è rappresentato dalla storia di Darth Pleguis il saggio, un Sith - dunque connotato come malvagio - che possedeva una tale conoscenza della Forza da poter assoggettare i midiclorian a creare addirittura la vita. Così lo presenta infatti il senatore Palpatine, un sith che agisce nell'ombra delle Cancellerie del Senato spaziale, al suo discepolo Anakin, il jedi che gioca un po' troppo fuori dalle regole. Palpatine continua: "Darth Pleguis insegnò al suo apprendista tutto ciò che sapeva: ed egli lo uccise ironia della sorte, salvò altri dalla morte, ma non salvò se stesso". Un eco così potente dei giudei che sbeffeggiano il Cristo in croce "ha salvato gli altri, salvi se stesso" (Marco 15:30-40) è difficile da trovare. Non c'è tuttavia la resurrezione di Darth Pleguis: e come può risorgere, se è un malvagio?

Anakin Skywalker, "il Prescelto" 

Alla fine, ai fans più accaniti risulterà quanto mai evidente che l'intero corpus di Guerre Stellari non è altro che la nascita, la crescita interiore, il dramma, la violenza e la redenzione di Anakin Skywalker, "colui che porterà equilibrio nella Forza" (cfr. Star Wars: la minaccia fantasma). Mai una vita umana è stata analizzata nei più profondi dettagli in una saga cinematografica. Anakin, schiavo bambino liberato dal maestro Quai Gon prima della sua morte, cresce al Tempio dei Jedi dove apprende con rapidità l'uso della Forza, giacché secondo Quai Gon è proprio "il prescelto", colui che annienterà i Sith per sempre. Anakin dimostra una buona padronanza della tecnologia (la "falegnameria del futuro") è nato da una madre senza che questa avesse consumato un rapporto sessuale, probabilmente grazie ad un assemblaggio spontaneo di midiclorian (parto virginale). Una sorta di Salvatore, insomma. Tuttavia, la rigidezza delle regole di vita Jedi sono per Anakin un impedimento: sogna la gloria, l'amore (si sposa segretamente) carnale, la potenza e il rispetto. Tutte cose che ai Jedi sono (dovrebbero) essere precluse. Infatti, nei film si nota bene come i Jedi sono di fatto una autorità ormai politica piena di privilegi e potere, e molti nel Senato ne sono sconcertati. Il senatore Palpatine, il gran signore dei Sith, trama nell'ombra per rovesciarli e usa il malcontento dei politicanti e il carattere di Anakin per sobillare una rivolta e proclamarsi Imperatore: con la promessa di insegnare l'arte della vita di Darth Pleguis allo stesso Anakin - il quale prevede la morte della propria moglie - il sith Palpatine corrompe definitivamente Anakin il quale guida i soldati della Repubblica interstellare (ormai controllati da Palpatine) allo sterminio dei Jedi. 

Corrotto dal Lato Oscuro, Anakin ferisce la stessa moglie Padme e rischia la morte combattendo contro il suo primo mentore, il Jedi Obi Wan: Anakin, in una sorta di ironia nera, è colui che provoca la morte dell'amata moglie nel tentativo di apprendere il Lato Oscuro per salvarla. Divenuto Darth Fener, il discepolo prediletto di Palpatine, Anakin si dedica al co-governo di una galassia assoggettata ai Sith, e il ricordo della Forza sembra svanire. 

Teologicamente, Anakin pare la morte del cristianesimo: un "salvatore" accreditato che si lascia corrompere e perde la sua missione, divenendo ciò che aveva giurato di combattere. Tuttavia, i figli di Anakin-Fener,  Leila e Luke, nati da Padme morente, lo combattono una volta cresciuti. I Jedi non sono scomparsi, ma alcuni scamparono all'eccidio di vent'anni prima, fra i quali i maestri Obi Wan Kenobi e Yoda, i quali istruiscono Luke (che ereditò dal padre la padronanza della Forza) ad essere un Jedi. Quando uno dei generali dell'Impero, parlando dei Jedi, li ritiene dei visionari sovversivi (cfr. Star Wars: una nuova speranza), Darth Fener lo interrompe dicendo di "non deridere il potere della Forza", ricordandosi forse del passato glorioso che ha contribuito a distruggere. Nel corso del sesto episodio della saga, Fener si rende conto di essere nel torto e uccide il suo mentore Palpatine, rimanendo mortalmente ferito nel suo duello con l'Imperatore sith. Ecco la redenzione della figura di Anakin "colui che porterà equilibrio nella Forza" e davvero lo porta, distruggendo il Signore Oscuro e morendo egli stesso nel tentativo. Pare dunque che la minaccia sia sventata per sempre, il mondo gioisce per la caduta dell'Impero.

Concludendo, Star Wars non ha sufficienti dettagli per essere considerato un film "cristiano" anche se è "cristianizzabile" nei valori dell'etica Jedi, i quali come già detto si ispirano spontaneamente ai monaci templari del medioevo.