Tutto ebbe inizio durante la seconda rivoluzione industriale, la seconda fase di un processo industriale più esteso chiamato rivoluzione industriale, iniziato con una prima fase detta prima rivoluzione industriale.
In particolare, la seconda rivoluzione industriale fu il processo di espansione e trasformazione dell’industria che si sviluppò tra la seconda metà dell’Ottocento (molti storici la fanno cominciare nel 1856) e l'inizio del Novecento. Comportò cambiamenti significativi non solo nel mondo della produzione, ma anche negli stili di vita e persino nei movimenti culturali. Le invenzioni e le innovazioni scientifiche e tecnologiche del periodo, infatti, furono applicate al mondo dell'industria, cambiando al tempo stesso la società. Vediamo in sintesi quali furono le principali caratteristiche di questo periodo storico.

Negli anni compresi tra la metà del XIX secolo e la Prima Guerra Mondiale la presenza di fabbriche aumentò in misura significativa in varie parti del mondo, interessando anche aree geografiche dove in precedenza l’industrializzazione era poco sviluppata. Inoltre, i sistemi di produzione andarono incontro a cambiamenti considerevoli in diversi ambiti, a partire da quello energetico.
La prima rivoluzione industriale, come sappiamo, aveva avuto la sua principale fonte di energia nel carbone, che alimentava le macchine a vapore. Nella seconda rivoluzione, carbone e vapore continuarono ad avere un ruolo di primissimo piano, ma iniziarono ad affermarsi altre forme e fonti di energia, due delle quali destinate a un enorme sviluppo: l’elettricità e il petrolio.
L’uso dell’elettricità fece grandi progressi grazie alle scoperte di alcuni inventori, tra i quali Nikola Tesla e Thomas Edison. Grazie alle loro invenzioni l’elettricità fu applicata nelle fabbriche e fu usata anche in altri ambiti, come l’illuminazione. Il petrolio, invece, iniziò a essere estratto su scala industriale negli Stati Uniti alla fine degli anni ’50 e, grazie all’invenzione del motore a combustione interna negli anni ’80, divenne sempre più importante nei trasporti e nell’industria.
La seconda rivoluzione industriale, inoltre, fu caratterizzata da un impiego su larga scala dell’acciaio, grazie all’invenzione del convertitore Bessemer, un forno che ne rese più veloce ed economica la produzione.


Nella seconda rivoluzione industriale il collegamento tra scienza e produzione fu diretto: se le macchine della prima rivoluzione industriale erano state inventate da geniali artigiani, nella seconda metà dell’Ottocento le innovazioni derivarono in larga parte dal lavoro degli scienziati.Una delle conseguenze del progresso scientifico fu la nascita delle telecomunicazioni: negli anni ’40 fu inventato il telegrafo e circa trent’anni dopo il telefono. Per la prima volta nella sua storia, l’uomo poteva comunicare a distanza, senza raggiungere fisicamente l’interlocutore.
Dal punto di vista dei trasporti, l’invenzione più importante fu quella del motore a combustione interna, che avrebbe consentito lo sviluppo della produzione automobilistica e, nei primi anni del ‘900, la nascita dell’aereo. Ma nella seconda metà dell’Ottocento ebbero un poderoso sviluppo anche i mezzi inventati durante la prima rivoluzione industriale: le navi a vapore, che diventarono sempre più diffuse, e le locomotive, con la creazione di estese reti ferroviarie. In entrambi i casi furono introdotte innovazioni che si svilupperanno soprattutto nel Novecento: le locomotive elettriche o diesel e le navi alimentate a petrolio.
Nella seconda metà del XIX secolo si sviluppò anche l’industria chimica, con nuove invenzioni come l’alluminio, la dinamite, i coloranti chimici, i fertilizzanti. Dai successi della scienza derivò un movimento culturale, il positivismo, secondo il quale il genere umano, grazie al progresso scientifico, stava andando incontro a condizioni di sempre maggiore benessere e prosperità.

La seconda rivoluzione industriale comportò cambiamenti significativi nelle politiche industriali. Si formarono grandi gruppi, detti cartelli, ognuno dei quali possedeva numerosi stabilimenti. Alcuni cartelli raggiunsero una posizione dominante sul mercato, come la Carnergie Steel Company di Andrew Carnergie nel settore dell’acciaio e la Standard Oil di John Rockefeller nell’estrazione e commercio del petrolio. Anche in Europa, si affermarono veri e propri colossi, come i gruppi siderurgici tedeschi Krupp e Thyssen.
Ai primi del Novecento cambiò anche l’organizzazione del lavoro in fabbrica. Fu introdotta, infatti, la catena di montaggio, un sistema, nel quale ogni operaio esegue la medesima operazione su tutti i pezzi, che in genere scorrono su un nastro trasportatore. La catena di montaggio consentì di ridurre in misura significativa i tempi di produzione ma, nello stesso tempo, rese il lavoro di fabbrica ancora più alienante.

La prima rivoluzione industriale aveva avuto origine in Inghilterra e si era poi diffusa in altri Paesi. La seconda invece si sviluppò in diverse aree del mondo. In Europa, uno dei Paesi dove si affermò più rapidamente fu la Germania, che andò incontro a un forte sviluppo soprattutto nella siderurgia, nel settore elettrico e in quello chimico. L’industrializzazione, però, si diffuse in numerosi Paesi e permise al “vecchio continente” di compiere una poderosa espansione: negli ultimi trent’anni dell’Ottocento le potenze europee colonizzarono l’intero continente africano e numerosi territori dell’Asia. L’imperialismo era una conseguenza del progresso industriale, perché i Paesi del “vecchio continente” avevano sempre più bisogno di accaparrarsi materie prime e trovare mercati per le merci che producevano.

L’industrializzazione, però, non interessò solo l’Europa. La crescita più poderosa, infatti, fu quella degli Stati Uniti, che nel 1890 sottrassero al Regno Unito il primato mondiale della produzione. Inoltre, lo sviluppo industriale iniziò anche in Giappone, sia pure in misura più limitata.

L’industrializzazione provocò una crisi di sovrapproduzione, durata dal 1873 al 1896, perché le fabbriche producevano più merci di quante il mercato ne riuscisse ad assorbire. I governi cercarono di fare fronte al problema introducendo il protezionismo, cioè l’istituzione di dazi sull’importazione di merci estere.
Inoltre, la rivoluzione industriale provocò cambiamenti significativi nella distribuzione della popolazione. La maggior parte dei cittadini viveva ancora di agricoltura pressoché in tutti i Paesi, ma una quota sempre maggiore di manodopera andava a lavorare in fabbrica, trasferendosi nelle città. Molte altre persone, invece, furono costrette a spostarsi in altri Paesi, dando vita al fenomeno dell’emigrazione. Era accaduto che la velocizzazione dei trasporti e i progressi della refrigerazione avevano reso più economica l’importazione di prodotti agricoli dall’estero, in particolare dal continente americano, mettendo in crisi l’agricoltura europea. Milioni di persone, perciò, dovettero lasciare le aree più povere del “vecchio continente” per andare a lavorare Oltreoceano o in altre zone della stessa Europa.

L’immigrazione, d’altro canto, fu una delle chiavi dello sviluppo degli Stati Uniti e, in misura e forme diverse, di Paesi latinoamericani come Argentina e Brasile.

Le condizioni degli operai erano sempre difficili ma, rispetto agli anni della prima rivoluzione industriale, erano stati fatti alcuni progressi e molti Paesi avevano emanato leggi per la tutela del lavoro, in particolare di quello minorile. Nella seconda metà dell’Ottocento, del resto, si sviluppò un forte movimento operaio, che si batteva perché fossero aumentati i salari e diminuiti gli orari di lavoro.
Gli scioperi e agitazioni, che ebbero luogo in tutto il mondo, gradualmente consentirono di migliorare le condizioni dei lavoratori. Dal movimento operaio, inoltre, derivò una corrente politica, quella del socialismo, destinata a segnare tutta la vita del Novecento.