Modelli grammaticali

Grammatica sì, ma con metodo

IDEE PER INSEGNARE - SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO E DI SECONDO GRADO

Nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione (sezione "Italiano", scuola primaria), sotto "Elementi di grammatica esplicita e riflessione sugli usi della lingua", troviamo al primo posto tra gli oggetti di riflessione "le strutture sintattiche della frase semplice e complessa (per la descrizione delle quali l'insegnante sceglierà il modello grammaticale di riferimento che gli sembra più adeguato ed efficace)".

Che cos'è un modello grammaticale?

Solo al punto successivo troviamo citate "le parti del discorso o categorie lessicali", che solitamente costituiscono il primo oggetto di analisi nella pratica scolastica. Un ordine non casuale, questo, che suggerisce un percorso non dal piccolo al grande, ma dalle unità comunicative (le frasi) agli elementi che le costituiscono (le unità lessicali). In che senso parliamo di "modello"? Quali sono i modelli grammaticali verso i quali l'insegnante potrebbe orientarsi? Per rispondere a queste domande faremo una digressione, sconfinando nel territorio delle scienze e passeremo brevemente in rassegna i principali modelli elaborati dalla linguistica novecentesca, tenendo presente che le Indicazioni ci danno alcuni indizi: tra i traguardi per lo sviluppo delle competenze al termine della primaria vi è infatti quello di "riconoscere la struttura del nucleo della frase semplice" (la cosiddetta frase minima, che, come vedremo, è al centro del modello valenziale).

Faremo infine un breve excursus per ricostruire gli antefatti della ricerca di un modello grammaticale per la scuola.

Il significato di "modello" nelle scienze

Prima di entrare nel merito di cosa può essere un modello in linguistica partiamo dall'accezione di "modello" in ambito tecnico-scientifico, e cioè uno "schema teorico che descrive uno o più fenomeni mettendo in evidenza o ipotizzando le caratteristiche strutturali più rilevanti" (voce modello nel dizionario De Mauro online). In questa accezione, del resto, il termine è usato nella sezione "Scienze" per la scuola secondaria di primo grado delle Indicazioni, laddove si parla di "modello cellulare" (p. 57).

Ogni modello scientifico è una descrizione semplificata di un insieme limitato di fenomeni, basata su osservazioni e dati sperimentali, che ci consente di comprendere e visualizzare in modo semplice ed efficace fenomeni di grande complessità.

Specifichiamo che ogni modello mette in luce alcuni aspetti e ne adombra altri: il modello eliocentrico, per esempio, basato sulle leggi di Keplero, descrive il moto dei pianeti intorno al sole, ma non descrive la natura dei pianeti. Ogni modello, inoltre, ha un campo di applicabilità ben definito e deve essere soggetto a falsificazione, cioè è valido fino a prova contraria: la meccanica di Newton era considerata capace di descrivere ogni tipo di moto finché la scoperta della relatività ha reso quel modello inapplicabile quando le velocità dei corpi diventano vicine a quelle della luce. Entrambi i modelli restano validi nella fisica moderna, ciascuno nei limiti del proprio campo di applicabilità.

Accanto a limiti intrinseci, i modelli presentano indubbi vantaggi: ogni buon modello scientifico permette di comprendere meglio la realtà e di fare previsioni. L’uso di modelli fa progredire la ricerca e facilita la didattica grazie alle caratteristiche di potenza ed economia: con poche regole si riesce a capire e descrivere un gran numero di fenomeni.

I modelli in linguistica

Anche nella linguistica si sono affermati, nell'ultimo secolo, principi scientifici che hanno permesso di disegnare modelli esplicativi di grande efficacia, in particolare per la descrizione della struttura delle frasi. La sintassi, il ramo della linguistica che studia la combinazione delle parole in frasi, è diventata in effetti il cuore della grammatica. Del resto, la capacità di formare frasi e dare giudizi di "grammaticalità" (cioè di rispondenza o meno alle regole condivise di buona formazione delle frasi nella nostra lingua) è alla base della nostra competenza spontanea della lingua.

Due sono i modelli scientifici di analisi della lingua che hanno affermato la priorità della sintassi a metà del secolo scorso: la grammatica valenziale di Lucien Tesnière, nata e sviluppatasi in Europa, e la grammatica generativa di Noam Chomsky, nata negli Stati Uniti e poi diffusasi a livello internazionale. Se la prima ha conosciuto una fortuna tardiva, a causa della scarsa circolazione dell'opera di Tesnière (pubblicata postuma), la seconda ha avuto uno sviluppo e una "tecnicizzazione" che ne hanno fatto una disciplina per "addetti ai lavori", non spendibile didatticamente. La grammatica valenziale, inoltre, nasce già con una vocazione pedagogica: l'obiettivo di Tesnière, linguista francese poliglotta e con esperienze di glottodidattica, era proprio quello di disegnare un modello universale che consentisse agli studenti di costruire frasi corrette, nelle lingue classiche come in quelle moderne; Chomsky, invece, si ispirava alla nascente teoria dell'informazione per descrivere la "competenza linguistica" (ing. competence opposta a performance) innata di un parlante ideale.

Entrambe le teorie puntano a individuare la struttura di una frase tipo, valida per tutte le lingue, riconducendola a formule e schemi. Nella grammatica generativa, la formula è F = SN + SV in cui SN sta per "sintagma nominale" (il gruppo del nome che funziona come soggetto della frase), SV per "sintagma verbale" (il gruppo del verbo, che funziona da predicato). All'interno di questo schema sintattico di base si inseriscono le unità lessicali, opportunamente flesse e raggruppate tra di loro. La struttura delle frasi è rappresentata graficamente tramite diagrammi ad albero rovesciato che si sviluppano in verticale, rivelando la "profondità" (data dai rapporti gerarchici tra i costituenti) della frase (F).
Nel modello valenziale, che afferma in modo più netto il primato del verbo all'interno della frase, la formula è F = V + A, dove V sta per "verbo" e A sta per "argomenti", termine che indica gli elementi richiesti dal verbo per completare la propria costruzione e il proprio significato.
Anche Tesnière usava schemi di frase ad albero rovesciato (chiamati "stemmi"), al vertice dei quali poneva il verbo, da cui dipendono gli altri costituenti della frase collocati più in basso. Quello a fianco è lo schema di frase di un verbo bivalente, con un primo argomento soggetto (A1) e un secondo argomento oggetto diretto (A2).


La grammatica valenziale

La grammatica valenziale, chiamata anche della verbo-dipendenza, recupera il concetto di "reggenza" presente nei grammatici antichi e lo innesta con un concetto mutuato dalla chimica moderna (la "valenza"), per ricavarne un modello di descrizione della frase basato sul significato del verbo, considerato il "motore" che attiva i legami sintattici all'interno della frase. Tutti gli elementi esistenti in natura si combinano tra di loro sulla base di una proprietà, che i chimici chiamano "valenza", espressa dal numero di legami che ciascun elemento attiva sulla base della costituzione interna dell'atomo. Allo stesso modo, in grammatica, la valenza esprime la proprietà del verbo di richiedere un certo numero e un certo tipo di legami sintattici.
Ogni verbo, per portare in scena l'azione o l'evento suggeriti dalla propria radice lessicale, e dar così luogo a una frase, ha bisogno di "saturare" la propria valenza, cioè di legarsi a uno o più nomi che completino la scena. Questi nomi (o sostituti del nome) funzionano come "attori" (Tesnière li chiamava "attanti"): avremo così un protagonista (il soggetto), cui va riferito l'evento espresso dal verbo, e uno o più "personaggi" (oggetto diretto e oggetto indiretto) eventualmente chiamati a completare la scena della frase.


In Italia questo modello è stato sperimentato fin dagli anni settanta del secolo scorso: prima nella didattica delle lingue classiche (in particolare del latino), grazie all'impulso di Germano Proverbio, e poi nella didattica dell'italiano grazie all'energia di Francesco Sabatini, autore di pionieristiche grammatiche scolastiche, nonché di un dizionario (il DISC, dizionario dell'italiano Sabatini Coletti, consultabile online) che ha introdotto nelle voci verbali la formula di valenza, cioè lo schema di costruzione della frase basato sul numero e il tipo di argomenti del verbo. Dobbiamo a Sabatini anche l'introduzione di grafici radiali: la frase nucleare è raffigurata come un ovale con un cerchio rosso al centro (il verbo), intorno al quale si dispongono gli argomenti (cerchi blu), collegati dalle linee della valenza. Ecco a lato un esempio di grafico di un verbo trivalente, che evidenzia subito il ruolo gerarchico del verbo.

Le numerose e fruttuose applicazioni alla didattica dell'italiano fanno di questo modello uno dei più diffusi a scuola, anche per la sua capacità di collegare analisi della frase semplice e analisi della frase complessa (vista come il risultato di una serie di "trasformazioni" degli elementi della frase semplice). Il modello consente inoltre un'analisi delle singole parole (classificabili in parti del discorso) non legata a criteri solo semantici (oggetto o concetto indicato) o morfologici (tipo di flessione), ma basata sul contributo che le diverse parti danno alla costruzione della frase (funzione sintattica). Grazie a un simile modello, cogliere e maneggiare i meccanismi della lingua diventa più semplice.
La forza del modello risiede proprio nella sua capacità di metterci in condizione di cogliere l'ossatura della frase anche in un testo complesso, e di costruire testi controllati, che si sviluppano ordinatamente intorno a un centro, nel rispetto delle relazioni logico-sintattiche (e della punteggiatura), ma anche delle possibilità di scelta tra opzioni diverse (sia nella disposizione lineare dei costituenti della frase, sia nella natura dei costituenti: pronomi, nomi o frasi). Va detto che questo modello non riguarda fenomeni che restano di pertinenza della grammatica tradizionale come la formazione, la pronuncia o la grafia delle parole. La grammatica tradizionale, per parte sua, non costituisce un modello propriamente detto, ma un tentativo di descrizione e classificazione delle regole di una lingua basata prevalentemente su elenchi di fenomeni e definizioni.
Va ricordato che usare un modello scientifico in grammatica vuol dire aprirsi alla possibilità del dubbio, della falsificazione: da questo punto di vista, le discussioni che possono nascere intorno alla valenza di un verbo diventano occasione di confronto "alla pari" tra insegnanti e studenti, ugualmente motivati a interrogarsi sulla struttura profonda della lingua, in una stretta interconnessione di sintassi e semantica.

Dalla grammatica dei modelli (di stile) ai modelli grammaticali

L'esigenza di guardare alle moderne scienze linguistiche nella didattica dell'italiano è stata avvertita a partire dagli anni settanta del secolo scorso, quando la diffusione delle Dieci tesi per un'educazione linguistica democratica (GISCEL, 1975) portò a una condanna dell'insegnamento grammaticale tradizionale, fondato su «teorie del funzionamento d'una lingua antiquate, largamente corrotte ed equivocate», e basato su esempi di uso scritto letterario senza tener conto delle varietà del repertorio italiano.

Da quel cambiamento di paradigma nacque l'etichetta "educazione linguistica", usata (anche nei titoli dei manuali) al posto di "grammatica", nonché una serie di libri di testo ed esperimenti didattici volti a rinnovare le fondamenta della didattica dell'italiano, talora rifiutando ogni tipo di insegnamento grammaticale esplicito, ma puntando comunque in modo deciso allo sviluppo delle abilità di base (parlare, ascoltare, scrivere, leggere). Due le direzioni seguite: da un lato quella dell'analisi empirica dei fatti linguistici (grammatica dal testo); dall'altro il tentativo di accreditare l'idea di una "struttura minima", benché ancora basata sulla triade soggetto-predicato-complementi.

Un fermento destinato a durare almeno fino alle soglie del nuovo secolo, quando gli effetti della scolarizzazione di massa, la diffusione di nuovi mezzi di informazione, il confronto con la dimensione multiculturale hanno cambiato radicalmente il panorama delle competenze in ingresso e dei bisogni educativi, portando a un brusco ripensamento nella didattica dell'italiano e a un sostanziale ritorno all'ordine, cioè alla grammatica tradizionale. Il calo delle competenze (da intendersi qui come concreta capacità di padroneggiare la lingua e di usarla nei diversi contesti comunicativi: ingl. proficiencymastercontrol), confermato dalle recenti indagini internazionali sulla literacy, viene da molti imputato alla degrammaticalizzazione dell'insegnamento tradizionale. Di qui la proposta di "ritorno alla grammatica", da alcuni frettolosamente interpretato come ritorno alla tradizione. Il successo editoriale di manuali scolastici che ripropongono le pratiche scolastiche di analisi grammaticale e logica, tuttora premiati dal mercato, ne è testimone.

Eppure, proprio su queste pratiche si sono nel frattempo appuntate le critiche unanimi dei nostri grammatici più autorevoli: dalla severa condanna della grammatica "catastale" proveniente da Luca Serianni, all'ironica riflessione sulla "selva dei complementi" fatta dal presidente dell'Accademia della Crusca, Francesco Sabatini. Una discussione efficacemente sintetizzata da Maria Pia Lo Duca nella voce complementi dell'Enciclopedia dell'italiano.

Del resto, il passaggio da una didattica centrata sull'insegnamento e sui contenuti (elencati nei Programmi) a una didattica centrata sull'apprendimento e sulle competenze (esplicitate sotto forma di obiettivi o traguardi nelle Indicazioni), nonché l'esigenza di rinnovamento veicolata dalle tipologie di quesiti linguistici presenti nelle prove INVAlSI, hanno riportato all'ordine del giorno il bisogno di ripensare il modo di fare grammatica a scuola.

Grammatica sì, ma con metodo. Anzi, non con un metodo tra i tanti (come quelli propagandati, spesso a fini squisitamente commerciali, per l'apprendimento della lettura o della scrittura), ma con un modello scientifico di riferimento, che sia spendibile con successo in ambito didattico non solo per la sua capacità di far cogliere in modo immediato le strutture della lingua, ma per le concrete ricadute sull'analisi dei testi. Perché per comprendere un testo è necessario avere un'idea delle strutture della lingua. E un buon modello potrà aiutarci anche a riconoscere il vario modo in cui queste strutture vengono piegate agli usi comunicativi concreti nei diversi tipi di testi: da quelli più "rigidi", come i testi di legge, a quelli più "elastici", come i testi letterari, che pongono minori vincoli alla libertà interpretativa del lettore.