Il taccuino del lettore e dello scrittore

Cos’è e perché è utile usarlo

IDEE PER INSEGNARE - SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO

In questo articolo, scritto da un’insegnante che sta sperimentando il taccuino nelle sue classi, capiamo l’utilità di questo strumento che, all’interno del progetto Writing and Reading Workshop, aiuta a sviluppare l’amore per la scrittura e la lettura nei ragazzi.

Una strada che esisteva già (ma tenevo nascosta)

Dacché mi ricordi ho sempre avuto un quaderno in cui scrivevo cosa mi capitava e pensieri che mi giravano per la testa. Vi scrivevo poesie, soprattutto poesie, perché mi era più facile; vi appiccicavo biglietti d’ingresso, carte di caramelle, tutto ciò che mi ricordasse qualcosa che valeva la pena tenere a memoria. Non c’erano disegni, al più qualche scarabocchio, semplicemente perché non ho mai saputo disegnare. Ho sempre ritenuto quei quaderni la mia pista segreta, non avrei mai pensato potessero diventare uno strumento didattico: appartengo alla scuola per la quale ciò che contava era il prodotto finito, che doveva essere perfetto e senza segni di errore. Al più ci stava un foglio di brutta, da consegnare insieme al tema per dimostrare di non aver copiato e per permettere al professore di capire se certi errori fossero dovuti a sviste o a incapacità conclamata.

La prima volta che ho letto della possibilità di usare il taccuino in classe, come parte integrante del metodo Writing and Reading Workshop, è stata un’epifania: ecco lo strumento che mi mancava! L’uovo di Colombo. E così mi ci sono buttata da subito senza tornare indietro. I miei studenti usavano già un quaderno di appunti, un quaderno di brutta: ora potevamo sperimentare qualcosa di completamente diverso e di straordinariamente semplice. Potevamo avere per loro “uno spazio per sperimentare, riflettere, creare […] che mantenesse sempre un legame importante ed esplicito con la scrittura. Annotiamo ora per scrivere in futuro” (Jenny Poletti Riz, Scrittori si diventa. Metodi e percorsi operativi per un laboratorio di scrittura in classe, Erickson 2017, p.91).

Si tratta di una scelta che ha degli impliciti pedagogici importanti, di cui come docenti dobbiamo essere consapevoli:

  1. Tutti gli scrittori hanno un taccuino: farlo usare ai ragazzi significa far sperimentare loro cosa significhi essere scrittori, non in quanto persone che pubblicano libri, ma che sanno scrivere, conoscono le tecniche di scrittura e le applicano e guardano il mondo con occhi diversi.
  2. Il taccuino è un serbatoio di idee, una scatola dei segreti cui attingere: spingere i ragazzi a farne uno strumento flessibile e aperto è la strada per spostare l’attenzione dal prodotto al proprio processo di scrittura.
  3. Il docente ha un suo taccuino su cui – meraviglia! – scrive. Usare io stessa il taccuino mi permette di misurarmi come docente scrittore, sperimentando su di me quello che chiedo ai ragazzi e fornendo loro un modello di processo di scrittura. Senza dimenticare il legame che si crea con i ragazzi quando il docente si mette in gioco in prima persona come autore, come fonte autorevole, come colui che sa fare quello che chiede ai ragazzi.
  4. Il taccuino è uno strumento che va a braccetto con un tempo dilatato, necessario alla progettazione e pianificazione di un testo: usare il taccuino significa insegnare ai nostri studenti a fermarsi, a concentrarsi e a guardare le cose con attenzione e a prenderne nota. In un mondo che premia la velocità il taccuino sviluppa l’abitudine a fermarsi.

Cos’è il taccuino, perché il taccuino

“Il taccuino è il posto dove scrivo quello che mi sta intorno. Se un pensiero mi passa per la testa lo metto lì, a volte disegno o annoto frasi che mi piacciono, da libri, poesie e canzoni. Il taccuino è un posto tutto mio. È utile perché se non ho idee, lo sfoglio e qualcosa ci trovo.” (Marco)

Questa è una delle annotazioni scritte da un mio studente dopo un anno di sperimentazione del taccuino: Marco non ha letto Fletcher (Fletcher R., Writer’s notebook, New York, Harper Collins 1986 e How writers work, New York, Harper Collins 2000), uno dei teorici dell’uso del taccuino in classe, ma lo ha capito benissimo. Fletcher afferma che gli scrittori reagiscono in modo diverso dalle altre persone a ciò che li circonda e hanno perciò bisogno di un luogo dove annotare, per non perdere il filo e le idee: il taccuino diventa un posto per tenere al caldo un’intuizione, un luogo che le permetta di correre e crescere. Certo non tutte le idee sono buone, non tutte diventeranno un pezzo, ma se ne staranno lì scritte nell’attesa che lo scrittore le prenda in mano e le faccia vivere. Il taccuino è come una buca in cui poter ritrovare tesori nascosti, uno spazio vuoto da scavare in una vita piena e frenetica. Non è un diario e nemmeno un libro di appunti, ma può contemplarli entrambi: contiene attivatori, liste, mappe a raggiera, scalette, storyboard, liste di argomenti per un pezzo, disegni e schizzi, articoli, frasi, applicazioni di tecniche di scrittura, commenti a libri e articoli, parole difficili e parole belle. Non ci scriviamo le bozze perché occuperebbero una parte troppo ampia delle nostre pagine, ma lo usiamo in tutti i processi di scrittura.

Attraverso il taccuino cerco di insegnare ai ragazzi a tenere gli occhi aperti e a dare attenzione alle piccole cose che mettono in luce realtà sostanziali: uno sguardo, un gesto, un oggetto, un ricordo. È uno strumento personale, ecco perché non ce n’è uno uguale all’altro e, per quanto suggerisca una struttura, mi accorgo che “scappa da tutte le parti”, ma è giusto così.

Come usare il taccuino in classe

Classe 1aA: primi giorni di scuola, quelli in cui gli insegnanti fanno scrivere sul diario le liste di materiali. Ho chiesto ai ragazzi di portare un quaderno né troppo grande né troppo piccolo ma con copertina rigida. È molto importante dedicare alcune minilesson a spiegare cos’è il taccuino, come si usa, cosa si può annotare e come è organizzato: si tratta di far acquisire loro una routine e una pratica. Ci vorrà del tempo, per questo è indispensabile prenderli per mano e guidarli fin quando lo strumento non sarà veramente loro: l’impiego del taccuino deve essere regolare, prima guidato e strutturato, poi via via più libero.

Il primo passo è decorare la copertina (un’interessante descrizione di questa attività si trova in Linda Rief, Read Write Teach, Porthmouth, NH, Heinemann 2007): è uno strumento personale, per cui ciascuno potrà incollarvi ciò che meglio crede e lo rappresenta. Poi faccio dividere il taccuino in due sezioni: taccuino del lettore e dello scrittore.

Il taccuino del lettore

Nel taccuino del lettore ci sono:

  • la pagina “Libri che vorrei leggere”: qui gli alunni registrano i titoli che potrebbero piacere loro dopo aver ascoltato i book-talk dell’insegnante e dei compagni, dopo i pomeriggi di esplorazione in biblioteca o dopo aver letto eventuali recensioni;
  • la scheda “libri che ho letto”: in una tabella i ragazzi inseriscono il titolo del libro letto, quando è stato letto, se è stato completato o meno e un voto da 1 a 5 (l’indicazione di voto serve loro per individuare subito il testo su cui vorranno fare la lettera recensione o il book-talk);
  • annotazioni sui libri che stanno leggendo: frasi che li colpiscono, descrizioni dei personaggi, appunti per la presentazione dei libri;
  • risposte ad alcune domande specifiche sui libri letti ad alta voce in classe;
  • riflessioni su alcune attività legate alla lettura (bookspeeddating, gara pugno di libri, lettura ad alta voce) e sul proprio essere lettori.

Il taccuino dello scrittore

Il taccuino dello scrittore è, forse, più composito. Se sfogliaste quello dei miei ragazzi di seconda, iniziato il 9 settembre, ci trovereste le riflessioni sulle aspettative e gli impegni rispetto al taccuino (si veda uno schema molto chiaro in J. Poletti Riz, cit., p. 110), strumento che già conoscevano dallo scorso anno: abbiamo deciso che dovranno scrivere almeno due annotazioni a settimana, datarle e indicare se sono scritte a casa o a scuola, scrivere in modo leggibile, usare testi, disegni, incollare oggetti.

La prima attività di accoglienza quest’anno è stata la scrittura di un testo lirico basato sull’anafora vengo da, in cui i ragazzi hanno dato spazio a ciò che a loro piace, ai ricordi, ai luoghi e alle persone da cui provengono. Prima del momento di laboratorio dedicato alla scrittura individuale ho aperto il mio taccuino e letto loro il mio vengo da.

Chiunque abbia provato a scrivere sa che sapere da dove cominciare e come cominciare non è semplice, ma più di tutto è complesso trovare l’argomento su cui scrivere: per questo è importante fornire strumenti in tal senso. Gli attivatori sono una serie di attività che andranno a costituire un archivio informale di possibili tracce da cui attingere, per esempio:– i luoghi della mia estate (schizzi e parole chiave dei luoghi dell’estate)

– 5 cose che mi fanno arrabbiare, mi piacciono, mi divertono

– 10 cose che amo della domenica

– non posso immaginare la mia vita senza

– il cuore (in cui inseriscono cosa è loro caro), la mano (al cui interno stanno scritte tutte le cose fatte negli anni)Gli attivatori sono strumenti potenti per raccogliere idee, sono lampi di immagini da cui scaturisce una scrittura veloce; in un secondo momento, poi, all’interno degli attivatori può essere scelto un elemento che verrà ampliato in una narrazione.

La tecnica “del semino”

Il taccuino è anche lo strumento per raccogliere le idee e mettere in pratica una tecnica di scrittura illustrata nella minilesson: ho spiegato loro la tecnica “del semino”, cioè l’importanza per uno scrittore di individuare piccoli momenti da descrivere (i semini dell’anguria), all’interno di un’esperienza personale (le fette d’anguria), a sua volta inserita in una storia più grande (la buccia dell’anguria). Ecco cosa ha schematizzato Clelia sul suo taccuino con l’analogia dell’anguria: estate e caldo (buccia), giornate in piscina (fette di anguria), io e Flavia che gonfiamo il fenicottero rosa e si buca (semino). Da lì poi ha messo per iscritto come intendeva pianificare il racconto.

Lo scorso anno, in prima, ho chiesto ai ragazzi di scrivere le dieci cose che amano della domenica; dovevano annotare sforzandosi di “pensare in piccolo”, segnando i dettagli che rendono vivo un ricordo: quindi non lo stadio, ma il boato dello stadio, l’eccitazione al fischio dell’arbitro, la mano umida e rassicurante di papà…

Ciascuno ha scritto, quindi gli alunni si sono confrontati a coppie. Abbiamo poi letto e commentato la poesia di Govoni Cose che fanno la domenica, e ciascuno ha scritto un’annotazione sul proprio taccuino: una riflessione su quanto viene detto nei versi e sugli strumenti usati dal poeta e una considerazione personale (mi è piaciuta o no, perché). A questo punto i ragazzi, utilizzando ciascuno i propri appunti sul taccuino, hanno composto la poesia a ricalco “Cose che fanno la mia domenica” sul quaderno di italiano e, quando hanno ritenuto che la poesia avesse la stesura definitiva (di solito ciò avviene dopo un periodo di consulenze mie o dei compagni e di editing), l’hanno letta alla classe durante il momento di condivisione del laboratorio di scrittura. Rigorosamente seduti sulla sedia dello scrittore, una sedia, cioè, con i braccioli su cui sta scritto “sedia dello scrittore” e che ciascuno, me compresa, usa quando vuole mostrare un pezzo ai compagni. Si legge, si applaude e poi si suggerisce e corregge insieme.