Tra il 46 e il 44 a.C., Cicerone compose una quantità impressionante di opere filosofiche.Non lo fece con l’intento di proporre nuove e originali dottrine. Cicerone infatti non si considerava un filosofo, né voleva esserlo; si proponeva invece di far conoscere i contenuti della filosofia greca e svolgere una funzione educativa nei confronti soprattutto dei giovani, in circostanze storiche così avverse (guerra civile romana 49-45 a.C. e guerra civile romana 44-31 a.C.).Cicerone filosofo non ha scritto nulla di originale, ma ha permesso agli intellettuali medievali, impossibilitati a leggere i testi greci, di ascoltare la voce di Socrate, Platone, Aristotele.

Sant’Agostino in un passo delle sue Confessioni (III, 4-7) ha scritto che, grazie alla lettura dell’Hortensius di Cicerone filosofo, la sua vita è totalmente cambiata, perché nacque in lui la passione per l’immortalità della sapienza.L’altro grande merito di Cicerone è, infatti, quello di aver elaborato il linguaggio filosofico, perché si trovò di fronte a una lingua, quella latina, quasi priva di una terminologia capace di “tradurre” dal greco termini propriamente filosofici.Il lavoro fu davvero assai arduo. Ad esempio Cicerone per tradurre il greco tò agathon (“il bene”), dovette far ricorso all’espressione omne bonum, oppure al neutro assoluto bonum; rese il greco physis con natura e altre volte con ingenium perché mancava in latino l’equivalente greco. Rese inoltre poiòtes con qualitas; posòtes con quantitas; ousìa con essentia; parole astratte destinate non solo a durare nel tempo, ma a diventare patrimonio collettivo della cultura europea, e italiana in particolare.Lo schema che segue ti permetterà di conoscere le opere filosofiche e i contenuti della produzione di Cicerone filosofo.

Bibliografia

OperaAnno di composizioneContenuti
Paradoxa stoicorum46 a.C.Un’operetta dedicata a Marco Giunio Bruto (il futuro cesaricida). Cicerone analizza sei tesi paradossali sostenute dagli Stoici: l’onestà è l’unico bene; per conseguire la felicità è sufficiente la virtù; non esiste una gradazione per vizi e virtù; tutti gli stolti sono portati alla pazzia; tutti i sapienti sono liberi, gli stolti sono servi; soltanto il saggio è ricco.
Consolatio45 a.C.Opera non pervenuta. Cicerone cercava di consolare se stesso per la morte di sua figlia Tullia.
Hortensius45 a.C.Dialogo andato perduto. Cicerone difendeva la filosofia (dimostrandone l’utilità) dalle accuse di Ortensio Ortalo, il famoso oratore romano, prima avversario e poi amico di Cicerone. L’opera è composta sul modello del Protrettico di Aristotele; ebbe una grandissima diffusione, se è vero che contribuì alla conversione di Agostino alla filosofia.
Academica priora e Academica posteriora45 a.C.L’opera ha per oggetto la teoria della conoscenza; ebbe due redazioni, scritte a distanza di pochi mesi, entrambe in forma di dialogo. Dei priora ci rimane solo il secondo e ultimo libro; i posteriora avevano quattro libri, dei quali a noi è giunta una buona parte del primo libro. Le tesi sostenute nel I libro possono essere sintetizzate in queste formule: non si può pervenire alla verità per mezzo dell’esperienza sensibile e la conoscenza umana non può ritenersi mai assoluta. Cicerone segue quindi le posizioni dello scetticismo moderato della “Nuova Accademia” (scuola filosofica di derivazione platonica). Nel II libro si fa sostenitore di una sorta di superamento dello scetticismo e mostra di condividere il probabilismo che è in sintonia con la sua ricerca filosofica.
De finibus bonorum et malorum45 a.C.L’opera è dedicata  a Giunio Bruto. In cinque libri sono analizzate le tesi sostenute dagli epicurei, dagli stoici, dai peripatetici e dagli accademici sulla natura del sommo bene e del sommo male. 
Timaeus45 a.C.È una traduzione del Timeo di Platone. Se ne possono leggere solo alcuni frammenti.
Tusculanae disputationes45-44 a.C.L’opera è così chiamata perché Cicerone immaginò che le discussioni si svolgessero nella sua villa di Tuscolo. È un dialogo in cinque libri. Il I libro è dedicato al disprezzo della morte. Il II libro è dedicato alla sopportazione del dolore e al modo in cui l’uomo, essere dotato di ragione, può vincerlo o, almeno, diminuirne l’intensità. Il III verte sulla guarigione dalle malattie attraverso la filosofia che, eliminando le passioni dell’animo, può procurare all’uomo la serenità per affrontare il dolore. Nel IV vengono trattate le altre passioni umane nelle quali l’uomo deve saper mostrare doti di equilibrio, nel senso che, se non vuole procurare turbamenti alla propria anima, deve astenersi da qualunque eccesso. Nel V e ultimo libro è trattato l’importanza della virtù, per il raggiungimento della felicità. Si tratta di un principio chiaramente stoico che comporta di per sé l’esaltazione della filosofia come base della virtù stessa.
De natura deorum45-44 a.C.Dialogo in tre libri, dedicato a Giunio Bruto. L’argomento è l’esistenza degli dei. Vengono confutate le tesi degli epicurei, che proponevano l’estraneità degli dei alle vicende degli uomini, e quelle degli stoici. Nella parte finale interviene Cicerone, che giudica più verosimili le opinioni stoiche. Tuttavia egli ha delle perplessità che riguardano il problema dell’ingerenza degli dei nella vita dell’uomo, in quanto è contrario ad ogni concezione deterministica della vita e della storia, mentre è un sostenitore convinto del libero arbitrio.
De divinatione45-44 a.C.Dialogo in due libri tra Cicerone e suo fratello Quinto. Mentre Quinto difende l’attendibilità delle pratiche divinatorie, Cicerone respinge nettamente la divinazione nelle sue varie espressioni: sogni premonitori, prodigi, astrologia. Si tratta di un’opera di straordinaria importanza perché ci consente di conoscere moltissime notizie circa le credenze popolari dell’antichità.
Cato Maior de senectute45-44 a.C.Breve dialogo, che si immagina sia avvenuto nel 150 a.C., tra l’ottantaquattrenne Catone il Censore e i giovani Lelio e Scipione Emiliano. Catone contesta le affermazioni dette di solito contro la vecchiaia, di cui invece rivendica i vantaggi. Infatti a coloro che accusano la vecchiaia di impedire di compiere opere degne di lode, risponde che essa, invece, è l’età della saggezza; a coloro che l’accusano di indebolire il nostro corpo, risponde che essa non compromette le capacità intellettive dell’uomo; a coloro che l’accusano di privarci dei piaceri, fa notare che, anzi, essa ci libera dalla schiavitù dei sensi; infine a coloro che affermano che la vecchiaia è l’anticamera della morte, egli risponde che la morte, dal momento che ci consente il trapasso all’immortalità e, quindi, alla vera vita, non deve essere temuta ma desiderata.
L’opera è dedicata ad Attico.
De fato44 a.C.Dialogo, di cui rimangono pochi frammenti. Cicerone discute con Aulo Irzio sul ruolo del destino e del libero arbitrio. L’uomo – sostiene Cicerone – attraverso la sua volontà, può affermare la sua libertà sottraendosi alla “necessità” e al “fato”.
Laelius de amicitia44 a.C.Breve dialogo, dedicato ad Attico, tra Caio Lelio, Caio Fannio e Quinto Mucio Scevola, che s’immagina sia avvenuto nel 129 a.C., poco dopo la morte di Scipione Emiliano. I tre discutono dell’amicizia, che ha come fondamento non l’interesse, ma la virtù.
De officiis44 a.C.È un trattato in tre libri sulla morale, dedicato al figlio Marco, impegnato negli studi in Grecia.
Nel I libro si discute dell’”onesto”, che trova il suo fondamento sulle quattro virtù cardinali: sapienza, giustizia, fortezza e temperanza.
Nel II libro si parla dell’”utile”, che solo in via del tutto astratta può essere separato dall’onesto, in quanto non potrà mai verificarsi che una cosa possa essere considerata utile se non sia anche onesta.
Nel III libro viene trattato il tema del contrasto tra l’utile e l’onesto. Tale conflitto, afferma Cicerone, nasce non tra l’utile e l’onesto in quanto tali, ma tra l’utile apparente e ciò che è veramente onesto: l’utile individuale, se contrasta con l’utile collettivo, confligge con l’onesto, e allora esso è soltanto un utile apparente. Infatti l’utile reale non può, per sua stessa natura, entrare in contrasto con l’onesto.
Questo trattato costituisce l’ultimo tentativo di Cicerone di salvare quelle istituzioni e quella forma di governo che ormai si erano logorate.