Crimini d'odio

Questa sezione di educazione civica traccerà un percorso: dalla conoscenza e consapevolezza della dignità della donna, al rispetto degli anziani e delle persone disabili, fino ad arrivare agli immigrati.

La dignità delle donne:

La Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne è una ricorrenza istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 17 dicembre 1999. L'organismo ONU ha designato il 25 novembre come data della ricorrenza e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare in quel giorno attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica sul problema, semprepiù stringente, della violenza contro le donne.
In molti paesi, come l'Italia, il colore esibito in questa giornata è il rosso e uno degli oggetti simbolo è rappresentato da scarpe rosse da donna, allineate nelle piazze o in luoghi pubblici, a rappresentare le vittime di violenza e femminicidio. L'idea è nata da un'installazione dell'artista messicana Elina Chauvet, Zapatos Rojos, realizzata nel 2009 in una piazza di Ciudad Juarez, e ispirata all'omicidio della sorella per mano del marito e alle centinaia di donne rapite, stuprate e assassinate in questa città di frontiera nel nord del Messico, nodo del mercato della droga e degli esseri umani. L'installazione è stata replicata successivamente in moltissimi paesi del mondo, fra cui Argentina, Stati Uniti, Norvegia, Ecuador, Canada, Spagna e Italia. La campagna in Italia viene in particolar modo modo portata avanti dal Centri antiviolenza e dalle Associazioni di donne impegnate nell'ambito della Violenza contro le donne.

Il mio nome è donna (cortometraggio)

Il rispetto per gli anziani:

Nelle società contemporanee, informate dal mito della giovinezza e dallo stigma della vecchiaia, è intuitivo che l’ageismo finisca per riferirsi soprattutto a chi è in là con gli anni. I vecchi sono considerati lenti, incapaci, inefficienti, mancanti: come osserva Butler, “la condizione anziana viene quasi negata da una società a impronta giovanilistica con una forma di spregio mass mediatico dell’immagine anziana, ridotta a caricatura fuorviante e discriminante, o peggio a sole immagini deteriori”. Da un lato, i comportamenti ageisti hanno un’origine emotiva e psicologica: l’ostilità e la ripugnanza verso la vecchiaia deriverebbero dalla paura della nostra stessa mortalità.

Dall’altro lato, sono un effetto collaterale del progresso medico: il successo della medicina nel trattare le malattie le ha rese croniche, caratterizzate cioè da un declino progressivo ma lento. Ha determinato, inoltre, un incremento della multimorbilità, la coesistenza di più patologie o condizioni cliniche in un medesimo individuo.

È cresciuto quindi il numero di utenti da assistere e con esso la quantità di risorse da convogliare verso la popolazione anziana fragile o con malattie croniche, che viene a rappresentare un onere per i singoli e per il sistema. La difficoltà di accettare “il peso della vecchiaia” si sedimenta in pratiche sociali, linguistiche, lavorative e manageriali. Si pensi alla difficoltà di venir assunti dopo i 45 anni, ai maltrattamenti nelle case di riposo, a metafore di uso comune come quella del “rottamare gli anziani”, al fatto che un over-60 su 6 subisce truffe, abusi finanziari, fisici e psicologici.

L’OMS ritiene che tra le varie tipologie di discriminazione l’ageismo sia la più frequente, persistente, normalizzata e socialmente accettata. In effetti la sua tematizzazione nel dibattito pubblico e mediatico rimane marginale, emergendo più come notizia sporadica – in occasione di fatti specifici – che come questione in sé.La recente pandemia, per esempio, ha riportato al centro gli anziani, più vulnerabili agli esiti nefasti del Covid. Uno studio italiano, condotto da Diversity Lab e dall’Università di Pavia, ha evidenziato che da gennaio ad aprile 2020 la copertura mediatica per le 5 aree della diversity (Generazioni, Generi, Disabilità, Etnia, LGBT+) è crollata drasticamente, eccezion fatta per gli over-60. Il racconto, tuttavia, si è concentrato sul conto dei decessi e sulla questione dell’accesso alle terapie intensive, con riferimenti serrati a numeri, parametri e statistiche. Molto poco si è detto, invece, sulla condizione dei tanti ultrasettantenni isolati e dimenticati.

Non è da escludere che l’attenzione agli anziani abbia generato un certo risentimento nei giovani e nelle categorie sociali più trascurate negli ultimi mesi, acutizzando il gap generazionale. Secondo una ricerca del Censis, oggi in Italia il 49,3% dei millennials (i nati tra il 1980 e il 1995) ritiene giusto dare priorità ai giovani nelle situazioni di emergenza, mentre il 35% è convinto che la quota di spesa pubblica dedicata alla terza età sia troppo ampia.

Oltre ad avvalorare stereotipi e pregiudizi, l’ageismo incide negativamente dal punto di vista psicologico, comportamentale e fisiologico.Innanzitutto additare come fragile qualcuno che non si sente tale, predisponendo per lui misure di tutela e prevenzione ad hoc, può essere recepito come azione paternalistica immotivata, intrusiva e offensiva.Soprattutto, l’etichetta della vulnerabilità può provocare quella stessa vulnerabilità, inducendo nell’anziano sentimenti di inutilità e frustrazione deleteri per la sua salute.

Il rischio più grande che una vittima di ageismo corre è del tipo “profezia che si autoavvera”: la consapevolezza di essere visto in un certo modo dagli altri (ageismo etero-diretto) potrebbe indurre l’anziano ad adottare l’immagine negativa (ageismo auto-diretto) e a condurre stili di vita passivi e sedentari aderenti a quel quadro. Potrebbe, per esempio, sviluppare un sentimento di rassegnazione per la vita, rinunciando ai comportamenti preventivi e all’aderenza terapeutica.

Tutto ciò comporta ripercussioni economiche non indifferenti. Uno studio condotto negli Stati Uniti su persone di età superiore ai 60 anni ha stimato che l’ageismo percepito in un anno dagli over-60 è la concausa di 17 milioni di casi di malattia, fra cui patologie cardiovascolari, respiratorie a metaboliche, con una spesa annuale di 63 miliardi di dollari.

D’altra parte, gli over-65 in pensione e in salute continuano ad assolvere importanti funzioni produttive e sociali, per esempio attraverso il sostegno economico ai figli, l’assistenza ai nipoti, il lavoro non retribuito, il volontariato.Tanto per il benessere del singolo quanto per l’equilibrio sociale sarebbero auspicabili una rivalutazione e un cambiamento nel modo di concettualizzare l’età avanzata, a partire da una raffigurazione dell’anziano più complessa e realistica.
Un fatto di cui si dovrebbe tenere conto è che con l’aumento dell’aspettativa di vita la categoria degli anziani ha cambiato profilo, raccogliendo persone di una fascia di età estremamente ampia e diversificata nelle caratteristiche, in alcuni casi molto distanti dall’immagine stereotipata.

Il rispetto per le persone disabili:

1. Cyberbulli? Webeti? O, semplicemente imbecilli? Sono gli haters, i leoni da tastiera che dietro la protezione del monitor sfogano frustrazione, rabbia, noia, cattiveria e arrivano a mortificare con offese  e frasi al limite della violenza  una ragazza, Ilaria Bidini, youtuber disabile che da anni cura e anima il suo canale con video nei quali mostra la sua vita e dà spazio ai suoi pensieri di ragazza (anche) con disabilità.

Tosta, senza peli sulla lingua, Ilaria gestisce e aggiorna il suo canale affrontando i temi più disparati, mostrando e mostrandosi, raccontando e raccontandosi, raggiungendo coi suoi video un vasto numero di persone. Persone che in gran parte apprezzano i suoi video, ma che in parte offendono, deridono, dileggiano e feriscono con la loro violenza verbale il lavoro ma anche la stima di questa ragazza.

Sui commenti insultanti, offensivi, cattivi, umilianti e stupidi rivolti a Ilaria, il giornalista Saverio Tommasi ha realizzato un servizio per Fanpage, dove Ilaria legge tutte le cattiverie che il peggio del web le rivolge, protetto dall’anonimato che garantisce la rete. L’elenco è una lista di insulti che fa rabbrividire:

“Ciao Cyber nana - Così ti chiamiamo ad Arezzo – ma lo vedi quanto fai schifo? Tu sei il mostro di Arezzo. Quando passi facciamo gli scongiuri, ci tocchiamo le palle perché porti male. Sei la miss Toscana della bruttezza e della deformità, sei un cesso inutile.

Nanoide, sai che nessuno si innamorerà di te?
Ma ti guardi allo specchio? 

Tutti hanno pena di un essere deforme come te.
Gli amici che hai, gli fai pena a tutti.
Ciao nullità deforme, non puoi fare un cazzo da sola. Come arrivi agli scaffali del supermercato senza che qualcuno ti auti? Dai, fai ridere tutti quando giri da sola.
Sei un fenomeno da baraccone.
Il nasone enorme e gobbo, le braccia lunghissime rispetto al corpo nano, hai ai denti marci e i capelli sudici: mio dio, che orrore sei. Sei solo un mostriciattolo deforme su cui sfogare le proprie depravazioni.
Dio mio, vestita fai pena, chissà nuda, farai schifo. Strana, schifosa, perché non fai un numero da circo?
Chissà i tuoi genitori quante volte si sono pentiti di non ave potuto vedere se avevi osteogenesi imperfetta, altrimenti avrebbero abortito ed ora avrebbero una vita e felice alta e slanciata”

Questa è solo una parte delle cattiverie e degli insulti che il peggio del web ha riversato sulla pagina di Ilaria, e che lei ha letto con un coraggio e una freddezza da leonessa davanti alla telecamera (qui sotto il video completo).

Alla pubblicazione di questo video agghiacciante, un’onda di indignazione, come giusto che sia, ha abbracciato di solidarietà Ilaria la quale, nel mezzo che le è più congeniale, ha voluto ringraziare tutte le persone in questo video:

Tutta la nostra solidarietà a Ilaria. Non ci sono commenti su questo genere di azioni, se non denunciamo, isoliamoli, facciamoli sentire quello che sono: piccoli  e stupidi, facciamo sapere al mondo che il web non può essere in mano a questi soggetti.
Noi stiamo con Ilaria!! Stiamo con gli esseri umani.

2. «Uno esce di casa e se lo aspetta». Non c’è rabbia, solo rassegnazione in fondo alla voce di A., 34 anni, romano. «Handicappato del cazzo, levati», una spinta alla carrozzina, ancora qualche insulto e poi uno sputo. «Erano tre ragazzini. Per loro ero un intralcio», racconta. «Succede. Cosa fai? Denunci? Non voglio problemi, allora mi sono messo da parte e ho aspettato che se ne andassero», sospira. A. è vittima di abilismo, termine ancora estraneo a buona parte del paese. La Treccani lo ha inserito nei neologismi soltanto nel 2020 e oggi inizia a farsi spazio nel dibattito pubblico grazie alla legge Zan, approvata alla Camera il 4 novembre e ferma attualmente a Palazzo Madama: misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità.

In Italia abbiamo familiarità con il razzismo, l’antisemitismo (reati puniti dalla legge Mancino-Reale) e con l’omotransfobia (reato sconosciuto dai codici ma noto alle cronache). L’abilismo invece è il crimine nell’ombra di un Paese che non lo nomina né lo riconosce. Riguarda tutte quelle violenze fisiche, alla proprietà e verbali perpetrate ai danni delle persone con disabilità. Crimine d’odio che ha nella nostra società lo stesso destino delle persone di cui parla: spesso dimenticato, sottovalutato e nascosto. Eppure, non è un fenomeno marginale. I dati raccolti dall’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del dipartimento per le Pari opportunità della presidenza del Consiglio dei ministri, ci raccontano di un Paese dove soltanto nel 2019 si sono registrate 188 segnalazioni, un miglioramento rispetto al 2018 che aveva segnato 221 casi di abilismo. Il 2020, invece, ha registrato una flessione pari a 49 casi di aggressioni nei confronti delle persone con disabilità, confermando una tendenza che vede in calo moltissimi reati a causa delle misure di confinamento dovute alla pandemia di Covid-19. Sono numeri relativi, sottolineano dall’Unar: parziali, poiché fanno riferimento solo a casi denunciati e segnalati dalla stampa.

L’abilismo, come l’omotransfobia e la misognia, trova aderenza nella società attraverso linguaggio, cultura, accessibilità e contesti sociali che rifiutano le persone con disabilità. È il caso di Gianluca, padre di due figli, dei quali uno gravemente disabile: «Non ci affittano casa perché ho un figlio disabile e temono di non poterci più sfrattare. Quando racconto questo dettaglio ogni possibile trattativa salta». Da più di sei mesi è alla ricerca di una casa in cui trasferire la famiglia. Una storia come tante, la crisi sanitaria ed economica frenano le opportunità di lavoro e di conseguenza le garanzie economiche che può offrire. Chiede garanzie ai familiari, ma la pratica per trovare un posto dove vivere con il figlio continua a incepparsi e a saltare: «Alcune agenzie me lo hanno spiegato bene il problema: non sono considerato un buon pagatore, almeno sulla carta, e se un giorno non potessi pagare l’affitto il padrone di casa non potrebbe nemmeno darmi lo sfratto perché non si possono mettere in strada le famiglie con disabili».

Ci sono episodi che restano all’ombra e altri che riescono ad avere una forte ribalta mediatica, come il caso di Beatrice Ion, 23 anni, stella della nazionale italiana di basket paralimpico e giocatrice dell’Amicacci Giulianova. È di origini rumene, ma vive in Italia da 16 anni. Beatrice è poliomielitica e usa una carrozzina per muoversi. Nell’estate del 2020 viene aggredita ad Ardea da un uomo, infastidito dal fatto che la giovane avesse un posto auto per disabili: «Vivo in Italia da 16 anni ho la cittadinanza italiana e ho fatto qui tutte le scuole. Continuo gli studi all’università, gioco a basket in carrozzina con la nazionale italiana e mi considero in tutto e per tutto italiana. Eppure, sono stata aggredita. Mio papà è in ospedale probabilmente con uno zigomo rotto perché a detta loro siamo stranieri del cazzo che devono tornare al loro paese. Tralascio le offese che mi sono presa perché sono disabile». Al grave episodio di violenza e insulti sono seguite anche minacce e diffamazioni attraverso i social, contro cui il padre di Beatrice ha sporto denuncia.
È un caso di discriminazione multipla: cioè quando la condizione di discriminazione è vissuta da una persona sulla base di più fattori. Nel caso di Beatrice Ion: razzismo e abilismo.

Ci sono reati che si consumano tra le mura di casa. È la storia di un’adolescente di 15 anni, con una disabilità fisica e psichica, abusata per quattro mesi, mentre lei doveva seguire nella sua stanza corsi della didattica a distanza e sua madre, che lavora come badante, non era in casa. L’uomo, un quarantesettenne che con la sua compagna aveva preso in affitto una camera nell’abitazione della madre della ragazza, è stato arrestato per violenza sessuale aggravata. Diceva che avrebbe aiutato la quindicenne a seguire la Dad e invece, proprio in quelle ore, tra novembre e febbraio scorso, commetteva la violenze.
Nella maggior parte dei crimini per abilismo registrati nell’ultimo anno, l’aggressore è un estraneo, in altri casi un operatore socio-sanitario. Il 16 marzo un uomo insulta e picchia senza alcun motivo apparente l’uomo che assisteva da mesi. L’aggressione avviene nella tarda serata, in un appartamento in via Morganti a Milano dove il badante e il suo assistito, un uomo di 48 anni affetto da sclerosi multipla, convivevano. Prima gli insulti e poi le percosse. La vittima riesce fortunatamente a chiamare le forze dell’ordine prima che la situazione precipiti. La denuncia è maltrattamenti contro conviventi.

È rabbia che scatta anche nei momenti di allentamento del lockdown. Il 30 dicembre Roma è in zona arancione, Sonia passeggia con suo marito Alessandro nel quartiere di Centocelle. Entrambi con un deficit visivo che li rende «disabili della vista». «Un automobilista ha cercato di infilarmi le dita negli occhi, mi ha strappato la mascherina e, non contento, mi ha spinto a terra», racconta. Motivo: «Non si era fermato sulle strisce pedonali e con il bastone io avevo urtato la fiancata della sua auto». La gente, i rumori tutto si confonde. Nella popolosa via dei Platani, nessuno muove un dito. L’aggressore è «abile», si muove bene, ferma la macchina, scende e decide di dare una lezione alla donna e al marito. «Attorno a noi chi rideva, chi passeggiava indifferente e chi addirittura bloccava mio marito che cercava di chiamare i carabinieri. L’uomo è scappato. Nessuno ha preso il numero di targa».

Sono casi di violenza che svelano il sentire sullo sfondo. Indifferenza, rifiuto. Molte segnalazioni di discriminazione verso persone con disabilità pervenute all’attenzione dell’Unar, hanno principalmente riguardato il mancato rispetto delle norme per il superamento delle barriere architettoniche: da parte di enti pubblici, di privati esercenti, di cittadini che occupano parcheggi per disabili abusivamente. Il disinteresse e il cinismo, la mancanza della cultura civica che costringe una parte di cittadini a compiere con fatica, nella quotidianità, azioni semplici e banali.

Lo racconta bene Lorenzo, 23 anni. «È successo il 20 marzo a Milano. Con il mio accompagnatore siamo andati alla fermata dell’autobus. Ci avviciniamo alla porta dell’autobus, chiusa. Chiedo di poter salire. L’autista non mi guarda e si rivolge al mio accompagnatore: “La signorina cammina?” Rispondo di no, e che non sono una signorina, e chiedo quindi di potermi aprire la pedana. La replica è secca: la pedana non c’è. Ma gli adesivi blu col simbolo della carrozzina sono in ogni parte dell’autobus. La pedana è proprio lì, a un metro da me. Lo faccio presente, la indico con la testa, faccio anche notare il tasto col simbolo della carrozzina che indica la pedana. Ottengo come risposta: allora vai a premerlo. Non posso muovermi da solo. È evidente. Così il mio accompagnatore va a premere il tasto col simbolo della carrozzina, che scopriamo essere collegato ad una spia sul cruscotto dell’autista. Ma l’autista risponde che gli adesivi di accessibilità sono finti. Non posso salire».

Gli attacchi alle persone con disabilità corrono anche in rete. Discorsi intrisi di odio e di discriminazione, ridicolizzazione, violenza verbale. I numeri emergono dalla quinta edizione della Mappa dell’intolleranza, voluta da Vox, l’Osservatorio italiano sui diritti e realizzata per analizzare il fenomeno dell’odio sulla rete sociale. «La disabilità è ancora additata come minorazione da non accettare. In piena emergenza pandemia, tra marzo e aprile 2020, l’odio in rete si è rivolto soprattutto contro chi aveva più bisogno di cure».

Alcuni casi riguardano l’adozione di un linguaggio inappropriato (ad esempio, il termine «handicappato») e di parole ironiche e dispregiative riferite a specifiche condizioni di disabilità (ad esempio, verso le persone con sindrome di Down). «Persiste l’utilizzo inopportuno e offensivo di immagini di persone con disabilità in manifesti e campagne di comunicazione», come dichiara il direttore dell’Unar, Triantafillos Loukarelis: «Usare le parole e le immagini della disabilità per offendere è un fenomeno purtroppo dilagante soprattutto sui social, che alimenta pericolosamente la cultura del pregiudizio e della discriminazione».

L'accoglienza dei migranti:

In viaggio con i migranti 1