La musica nell'esperienza cristiana

1. La musica sacra ebraica dell'Antico Testamento

La storia della musica sacra occidentale coincide prevalentemente con quella della musica cristiana; e come il Cristianesimo, anche la musica che ne è espressione affonda le radici nell'Antico Testamento.
Nella Bibbia abbondano i riferimenti musicali, anche se mancano del tutto dati circa le melodie e le tecniche di esecuzione.
Il popolo ebraico conosceva sia il canto che gli strumenti, ed attribuiva alla musica origini antichissime, ponendone l'invenzione addirittura nella Genesi: il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto è Jubal, personaggio prediluviano figlio di Caino (Gen 4,21). La musica strumentale ha una presenza costante nell'Antico Testamento.
Sono celebri le trombe che fecero crollare le mura di Gerico in Gs 6,12-20; ma gli strumenti accompagnavano in genere tutte le manifestazioni della vita, sia nei grandi eventi che nelle cose quotidiane.
Una potente scena musicale viene descritta in occasione della consacrazione del tempio di Salomone, con centinaia di sacerdoti e leviti che cantano e suonano (in 2Cr 5); la tromba accompagna anche le manifestazioni di IHWH al suo popolo; Davide suona la lira per calmare Saul (1Sam 16,14-23).
Nell'Antico Testamento sono nominati strumenti a fiato, a percussione e a corda:
- il flauto diritto (ugav)
- la lira di Davide (kinor)
- il tamburo (tof)
- il corno (shofar)
- strumenti a percussione (selselim).

Corno shofar:

Il canto ha certamente avuto un ruolo molto importante nella cultura e nella tradizione religiosa ebraica veterotestamentaria.
Molti sono i canti presenti nell'Antico Testamento e l'intero libro dei Salmi è dedicato a 150 componimenti che erano sicuramente musicati e cantati, come indicato dall'epigrafe che accompagna molti di essi, e come indicato dallo stesso nostro termine Salmi, in greco ψαλμοί (Psalmoi) dal verbo ψάλλω (psallo) che significa suonare uno strumento a corda.
Una forma particolare di canto era la cantillazione, modulazione della voce a metà fra il canto e la lettura; il ministro proclamava la Parola senza cantare ma articolando solennemente su pochi suoni di tono ravvicinato (anche inferiori al semitono) e seguendo il ritmo dettato dal senso del testo.
In questo modo la musica come evento sonoro diventava parte stessa della Parola sacra.
Il canto ebraico conosceva anche il melisma (o jubilus), gruppo di note di abbellimento in cui la melodia si espandeva sopra una unica sillaba o vocale del testo.

2. La musica protocristiana del Nuovo Testamento

l Nuovo Testamento ha pochi riferimenti diretti alle forme musicali del cristianesimo primitivo; ma è ricco di citazione dai salmi e contiene numerosi inni, dossologie, cantici, i cui testi seguono gli stilemi della poesia ebraica.
Certamente anche i cristiani delle origini intonavano lo loro preghiere cantando. San Paolo stesso esortava al canto delle orazioni: 

«La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali » (Lettera ai Colossesi 3,16-17).

Si ritiene generalmente che nei primi decenni le riunioni di culto seguissero le forme della sinagoga, e questo, insieme al dato testuale, induce a ritenere che anche musicalmente liturgia ebraica e protocristiana fossero assai vicine.
In particolare vanno in questa direzione gli studi di alcuni etnomusicologi come il lettone Abraham Zevi Idelsohn nel suo ''Thesaurus of Hebrew-Oriental Melodies'' (1914).
Nei Vangeli e negli altri libri neotestamentari possiamo quindi trovare sia materiale precedente al Cristianesimo, per lo più ebraico o talvolta ellenico, sia composizioni originali delle prime comunità cristiane: mancano però del tutto i dati circa le melodie e le tecniche di esecuzione, cosi come sono del tutto assenti i riferimenti alla musica strumentale, che risulta pertanto non attestata.
Sono stati fatti vari tentativi di classificazione, per lo più in base all'origine ebraica, ellenica o propria cristiana, e le principali categorie sono due:

Materiale precristiano

I libri del Nuovo Testamento contengono moltissimi richiami ai salmi, che erano di evidente uso comune.Ricordiamo fra gli altri:il salmo 22(21) sulle labbra del Crocifisso (Mt 27,46);il salmo 110(109) citato testualmente da Gesù (Mt 22,41-46);il salmo 2 proclamato dalla voce del Padre al Battesimo di Gesù (Lc 3,21-22).Inoltre troviamo il canto dell'inno da parte di Gesù e degli Apostoli al termine dell'Ultima Cena in Mc 14,26 e Mt 26,30.

Composizioni cristiane

Vi è poi molto materiale originale, testi prodotti dalle comunità cristiane.I più famosi sono gli inni lucani: il Magnificat (Lc 1,46-55); il Benedictus (Lc 1,68-79) il Nunc Dimittis (Lc 2,29-32).Vi sono poi il Prologo di Giovanni (Gv 1,1-18) e l'inno cristologico di Paolo (Fil 2,6-11).Ma molti altri brani innici sono contenuti nell'Apocalisse e nelle Lettere, insieme ad acclamazioni, esclamazioni e dossologie.

3. I primi secoli cristiani (I-III d.C.)

Fin dai tempi della persecuzione romana, i cristiani usavano il canto nelle loro preghiere, perché il canto era ritenuto il modo più diretto per parlare con Dio. A poco a poco, con l’espandersi della religione cristiana, la musica cominciò ad essere inserita nelle cerimonie religiose, ma a causa delle distanze tra le varie comunità e della mancanza di un’autorità centrale riconosciuta da tutti, si svilupparono riti differenti, cioè canti, gesti e parole della liturgia diversi in ogni comunità cristiana.

Fra il VI e il VII secolo il monachesimo rafforzò ulteriormente l’espansione della religione cristiana in Europa e le abbazie divennero un luogo centrale non solo per la vita sociale delle popolazioni, ma anche per la diffusione della musica sacra: innanzitutto i monaci amanuensi copiavano i libri di canti e di preghiere, salvandoli dalla distruzione; nella quotidianità dei monaci, inoltre, la preghiera e il canto scandirono le ore e i momenti della giornata, creando una tradizione di musica vocale sacra molto importante.

Le abbazie erano strutturate come cittadelle murate, quindi sicure. Oltre ad essere luoghi di preghiera, divennero centri autosufficienti e un punto di riferimento per le popolazioni dei villaggi circostanti, sia anche come luoghi di lavoro che di rifugio. Riferendosi alla musica vocale di questo periodo si parla di canto gregoriano perché alla fine del VI secolo il papa Gregorio I dettò regole comuni per i cristiani, avviando probabilmente anche la raccolta e la conservazione di numerosi canti liturgici usati nelle varie comunità dislocate in tutta Europa. Importante per la storia dei canti cristiani fu inoltre l'azione di Carlo Magno nel IX secolo, il quale per consolidare il suo potere cercò di creare un'unità culturale ai popoli del Sacro Impero Romano, stabilendo tra le altre cose un unico repertorio di canti religiosi.

Mosaico del Buon Pastore dove impugna una siringa, strumento a fiato che nell'iconografia romana e greca era tipico di divinità come Pan e Orfeo:

I canti corali

Certamente erano molto diffusi i canti, sui quali tuttavia le notizie sono parecchio lacunose, e questo vale per i profili strettamente tecnici (melodie, forme musicali) ma anche per altri aspetti dell'esecuzione come, per esempio, l'eventuale presenza nell'azione liturgica di figure già deputate al canto come cantori o coristi.
Tuttavia, confrontando questi dati con lo sviluppo successivo della musica cristiana (in special modo il canto gregoriano), gli studiosi hanno raggiunto la convinzione che la primitiva liturgia cristiana fosse tutta musicale, in parte cantata ed in parte proclamata mediante la cantillazione.
Anzi, in voluta contrapposizione con la ricca musica del Tempio di Gerusalemme con schiere di sacerdoti e leviti e distinzioni di strumenti a seconda del grado dell'officiante, il canto cristiano delle origini era quasi certamente condiviso comunitariamente e quindi prettamente corale. Troviamo la conferma in Ignazio di Antiochia : "Unitevi insieme in un solo coro … cantate a una sola voce per Gesù Cristo" (Lettera agli Efesini 4,1).
La vocalizzazione nel corso del tempo venne arricchendosi, e via via prese campo l'uso dell'alternanza responsoriale fra uno o più solisti e l'assemblea.
Anche i testi apocrifi attestarono numerosi canti, con continui riferimenti al canto dei salmi, la cui pratica favorì la produzione di nuovi poemi accanto a quelli canonici: così per esempio le Odi di Salomone, libro apocrifo del I-II sec. d.C..
Tertulliano nell'Apologetico 39,18 invitava tutti a cantare un inno, tratto dalle Sacre Scritture o di propria composizione: questo ci indica come accanto al corale fosse in uso anche il canto da parte dei singoli nelle orazioni private. Continuava poi ad essere praticata la proclamazione cantillata, ad opera di lettori che si avviavano ad essere identificati di lì a poco come figure investite di un vero e proprio ministero (così Ippolito di Roma ne La tradizione apostolica, scritto del III sec.).

Musica strumentale

Gli strumenti musicali furono spesso condannati dai Padri, sia per motivazioni teologiche in contrapposizione con i riti pagani, sia per motivazioni morali.
Tuttavia molti studiosi pensano che alcuni strumenti semplici a corda, come la lira o la cetra, o a fiato, come flauti o siringhe, potessero essere talora presenti come accompagnamento al canto: a riprova, si rileva che uno dei motivi ricorrenti dell'arte figurativa paleocristiana è il Cristo rappresentato come Orfeo, cantore al suono della lira o della siringa. La musica sacra dei primi secoli fu soltanto la musica delle liturgie delle comunità cristiane, quelle - non dimentichiamolo - che si riunivano nelle case, nelle catacombe e in altri luoghi clandestini a causa delle persecuzioni.
In questo periodo si cominciano a porre le prime basi della musica ecclesiastica. È celebre la descrizione di Plinio il Giovane nella ''Epistula ad Traianum X'' (inizi del II secolo): in questo scritto si dice che i cristiani avevano la "consuetudine di adunarsi in un giorno stabilito prima del levarsi del sole, e cantare tra loro a cori alternati un canto in onore di Cristo, come a un dio".
Ma la documentazione, purtroppo assai scarsa, si rinviene principalmente negli scritti dei Padri della Chiesa, da parte di figure illustri come Clemente Alessandrino (morto nel 220 d.C.), nonché in alcuni apocrifi dell'Antico e del Nuovo Testamento.

4. Da Costantino a Carlo Magno (IV-VIII d.C.)

Dopo il riconoscimento della religione cristiana da parte di Costantino il Grande (313 d.C.) e la fine delle persecuzioni, nelle liturgie non più illegali la musica iniziò ad essere utilizzata liberamente e sistematicamente e si trasformò in un vero e proprio elemento del culto.
Il passaggio del rito dalle case alle chiese cambiò radicalmente le forme musicali, che divennero via via più complesse per adeguarsi alla crescente complessità delle liturgie, mentre le grandi basiliche fornivano un naturale amplificatore delle voci.
La fioritura più ricca in questo periodo si ebbe nel mondo greco-orientale: nella chiesa bizantina all'epoca dell'imperatore Giustiniano (482-565 d.C.) il santuario di Santa Sofia aveva 25 cantori ed oltre 100 lettori. Il coro era diretto dal protopsaltes, il primo cantore, che per condurre utilizzava i neumi, cioè movimenti della mano destra che indicavano l'inizio e l'interruzione della salmodia, le modalità di esecuzione ed il ritmo del canto. Anche in Occidente, pur con maggior lentezza, il canto liturgico si arricchiva.
Nel IV secolo si introdusse l'ambone, e si consolidò sempre più il ruolo del lettore: il sinodo di Laodicea (363) al canone XV stabilì che:

"nella comunità nessuno deve cantare al di fuori dei cantori canonici, che salgono all'ambone e cantano leggendo dalla pergamena".

Nella stessa linea il Concilio di Cartagine (411) decise che i cantori fossero nominati dal presbitero con il consenso dell'Episcopo.
Ancora mancava un sistema di notazione: Isidoro di Siviglia (morto nel 633) annotava nelle Etymologiae 3,15: "Se i canti non vengono tenuti a mente vanno perduti perché non è possibile metterli per iscritto": l'educazione dei cantori era quindi affidata a scuole in cui si tramandavano a memoria le melodie e la cantillazione.
Nonostante ciò, a partire da questi secoli e per tutto il Medioevo la teoria e la filosofia della musica furono oggetto di studio da parte di monaci ed ecclesiastici, e vennero a far parte delle quattro arti del quadrivium (insieme a aritmetica, geometria e astronomia), cioè il corso di studi a base della conoscenza scientifica e filosofica.
Per l'uomo dell'alto Medio Evo la conoscenza teorica della musica era finalizzata alla comprensione della realtà, e come scienza applicata rivelava l'ordine del cosmo che poteva così essere reso manifesto e trasmesso all'anima.
Ricordiamo fra tutti soprattutto l'opera di Severino Boezio (475-525), il cui De institutione musica divenne il testo fondamentale per lo studio dell'ars musica durante i secoli successivi.

Innodia e salmodia

In questi secoli fiorì la produzione di inni, dapprima nella chiesa orientale (Efrem il Siro), successivamente attraverso Ilario di Poitiers anche in occidente. Sant'Agostino nelle Confessioni (Conf. IX, 7-6) e Giovanni Crisostomo testimoniano l'usanza diffusissima del popolo di Cristo di cantare inni e salmi in chiesa come forza aggregante e sanante.

Una delle figure più importanti fu Sant'Ambrogio, il quale fu prolifico compositore di numerosi canti in strofe brevi e metriche.

Questi canti divennero molto popolari e venivano eseguiti anche al di fuori degli spazi e dei tempi della liturgia: tanto da indurre il Primo Concilio di Braga (561) a disporre che nelle chiese non si cantasse alcuna composizione poetica al di fuori dei salmi e di altre parti delle Scritture canoniche (canone XII).

Enorme diffusione ebbe anche il canto dei salmi canonici, specialmente nella nascente liturgia delle Ore ad opera dei Padri del deserto.

La Messa

Nella Messa latina si formò e si consolidò la struttura musicale-liturgica, con l'introduzione del canto del graduale e del communio e di altri canti almeno in parte non direttamente desunti dal testo biblico: il Kyrie eleison, il Gloria, il Sanctus e l'Agnus Dei, importati in occidente nel V secolo dalla liturgia orientale (l'Agnus Dei fu introdotto da papa Sergio I alla fine del VII sec.). Si distinsero sempre più i ruoli musicali all'interno della liturgia, tra lettori, cantori, diaconi e suddiaconi, mentre l'assemblea partecipava rispondendo ai ritornelli e alle acclamazioni. A Roma si compilarono le prime raccolte di canti liturgici: l'antiphonarium (raccolta di antifone con versetti di salmi) e il cantatorium che contiene i canti intonati dal solista: graduale, tractus e alleluia. La diffusione dei canti tuttavia non avvenne in maniera uniforme in tutto il vasto territorio dell'Impero Romano d'Occidente. Di fatto, intorno al VI secolo l'Europa ecclesiastica si presentava come una grande scacchiera, e in parallelo alla diversificazione dei riti andava anche la formazione del patrimonio musicale.

Nella chiesa d'Oriente il rito era greco, accompagnato da una tradizione musicale che rimase autonoma, il canto greco-bizantino. Nella chiesa d'occidente il rito era in lingua latina ma il repertorio dei canti variava di zona in zona, subendo le contaminazioni delle musiche popolari locali.

E così si formarono tipi di canto di cui ci sono giunte poche ma interessanti attestazioni (a parte l'ambrosiano, l'unico in uso ancora oggi):

  • a Roma e nell'Italia centrale il canto romano antico;
  • a Milano e in parte della Lombardia il canto ambrosiano;
  • nell'Italia meridionale il canto beneventano;
  • in Francia il canto gallicano;
  • in Irlanda, Inghilterra, Francia settentrionale e Bretagna il canto celtico;
  • in Spagna il canto mozarabico (o visigotico).

Il VI secolo si concluse sotto il papato di Gregorio magno (590–604), dal quale il canto gregoriano prese nome.

5. Il canto gregoriano

Tradizionalmente si ritiene che il canto gregoriano sia stato frutto dell'opera di papa Gregorio I: la tesi, peraltro assai dibattuta fra gli studiosi da circa un secolo a questa parte, oggi viene considerata superata, ed il fenomeno appare assai più complesso.
Nel secolo VIII il canto romano antico subì notevoli apporti dal canto bizantino, sia per l'autorità dell'Imperatore romano d'Oriente, sia per la presenza a Roma e in Italia meridionale di monaci di area greca e persino di papi di origine greca o siriaca (Leone II, Sergio I e Gregorio III).
Pertanto la linea melodica semplice si fiorì di melismi e abbellimenti tipici del gusto orientale.
Nei secoli precedenti la liturgia era differenziata su base locale e la Chiesa, messa già più volte in pericolo da divisioni ed eresie, nello sforzo di tenere unita la comunità mirava ad unificare il rito su tutto il territorio occidentale.
Nel frattempo l'Europa vedeva l'affermarsi della dinastia carolingia e del Sacro Romano Impero.
Soprattutto Pipino il Breve e Carlo Magno contribuirono alla diffusione del canto romano antico nella Gallia, grazie all'opera della schola cantorum di Metz, dove il vescovo San Crodegango (742-766) riformò radicalmente la liturgia gallicana sostituendo tutto il repertorio con il canto romano antico rivisitato secondo il gusto franco: nacque così il canto carolingio.
L'imperatore (Carlo Magno) che vedeva nell'unità liturgica una garanzia per la stabilità del proprio regno, estese il canto carolingio su tutto il territorio: il risultato fu che il canto romano antico, abbellito con il gusto bizantino e rivisto con i canoni franco-carolingi, si impose in Europa, a discapito degli altri riti e dei loro patrimoni musicali, che sono tutti scomparsi eccezion fatta per l'ambrosiano.

Le melodie continuarono per lungo tempo ad essere tramandate oralmente, poi nei monasteri come San Gallo, Laon e Chartres si cominciò ad annotare sopra il testo, ma ancora senza rigo (scrittura detta adiastematica), i neumi (dal greco neuma che significa cenno, gesto): cioè i gesti di chi dirigeva il coro, in sostanza approssimativamente l'andamento della melodia, che comunque doveva essere già conosciuta a memoria dai cantori.Lo sviluppo della musica sacra nel Medioevo, di cui molte testimonianze sono giunte fino a noi, coincide con le vicende della Chiesa cattolica a cui essa è legata. Per quanto riguarda invece la musica profana, cioè la musica popolare con lo scopo di intrattenimento, non destinata quindi ai fini liturgici e religiosi, la documentazione che ci è giunta è decisamente minore.In effetti, la caduta dell’Impero Romano e di tutte le sue complesse strutture politiche e sociali da un lato e le incursioni dei popoli definiti “barbari” dall’altro cancellano a poco a poco la normale quotidianità che i popoli dell’Impero avevano conosciuto. In questo vuoto la Chiesa diviene quella solida struttura di sicurezza che gli uomini non riescono più ad individuare nell’Impero e svolge un ruolo culturale importantissimo nelle grandi abbazie, situate nelle campagne, dove i monaci si dedicarono alla conservazione e allo studio dei libri e dei testi.

Le cinte murarie divengono elemento indispensabile per la ripresa della quotidianità: le mura dei monasteri racchiudono l’ambiente perfetto per lo sviluppo della musica sacra, dove la vita è scandita da riti e liturgie e dove la musica diviene strumento di preghiera; castelli e città murate sono invece i luoghi della musica popolare profana, che prevede spesso l’uso degli strumenti, adatta ai banchetti e alle fiere, a eventi pubblici e privati.

Al di là delle leggende, il canto gregoriano prese realmente il proprio nome da papa Gregorio Magno, ma non perché ne sia stato l'autore.
La nascita e l'evoluzione di questo fondamentale repertorio, peraltro ancora tutt'altro che chiarita, viene comunque quasi unanimemente fatta risalire all'epoca carolingia. L'opinione prevalente degli studiosi ritiene infatti che esso sia una rielaborazione del canto ecclesiastico romano (detto solitamente cantus romanus o 'canto romano antico') da parte dei chierici franchi durante il regno di Pipino III (detto Pipino il Breve, 751-68) e del figlio Carlo Magno, diffusasi poi quasi universalmente nell'Europa occidentale e centrale medievale, con l'unica eccezione significativa della diocesi di Milano.
L'evento cruciale sarebbe stata la visita di papa Stefano II (752-7) al re Pipino nel 754. In effetti il papa, insieme con un notevole seguito di clero romano, tra cui, presumibilmente, la Schola Cantorum, soggiornò per diversi mesi a St. Denis e in altri centri carolingi. Nel contempo re Pipino avviò una politica di istituzione del cantus romanus e di soppressione della liturgia gallicana indigena, politica poi confermata dal figlio Carlo Magno, che pubblicò numerosi editti in tale direzione.
L'associazione del canto con il nome di Gregorio ebbe luogo durante questo primo periodo di assimilazione franca del canto romano.

I primi libri di canto Franchi - libelli senza notazione con i testi dei canti della Messa copiati da esemplari romani perduti - hanno una breve prefazione che inizia con le parole ''Gregorius praesul composuit hunc libellum musicae artis'' (Il vescovo Gregorio ha scritto questo libretto di arte musicale).

Miniatura dall'Evangeliario di Godescalco (781):

Alcuni studiosi (J.W. McKinnon) suggeriscono che gli originali, forse scritti nei decenni di poco precedenti, recassero una dedicazione a Gregorio II, papa regnante nell'VIII secolo (715-31), ma i trascrittori Franchi confusero e presumettero che la prefazione si riferisse a Papa Gregorio I, cioè Gregorio Magno.
Vi erano anche altre motivazioni 'minori' che supportavano l'attribuzione: Gregorio Magno, figura autorevolissima, era particolarmente onorato in Inghilterra (dove aveva inviato sant'Agostino di Canterbury per convertire le popolazioni) e gli studiosi inglesi come Alcuino di York dominavano il circolo della corte carolingia.
Inoltre Gregorio I era un monaco benedettino, e ai monaci benedettini era di fatto consegnata l'opera di trascrizione e diffusione dei libri di canto. Certamente, sotto il profilo storico-politico, la paternità di Gregorio Magno, per di più assistita dall'intervento divino (vedi le leggende in proposito), conferiva la massima autorità ad una riforma cultuale così profonda e tanto difficile da attuare: si pensi che nella stessa Roma si continuò per alcuni secoli a cantare secondo il repertorio del canto romano antico.
L'unificazione del rito condusse anche all'unificazione delle grafie degli scriptoria monastici, per facilitare la scrittura e la lettura della musica e consentire una più rapida circolazione del repertorio in tutta l'Europa.

I canti popolari nelle isole britanniche

In questi secoli nelle isole britanniche cominciò un fenomeno che poi si sarebbe esteso a tutta Europa: la nascita di canti religiosi non liturgici nelle lingue locali.
Ne parla soprattutto San Beda il Venerabile nell'opera Historia ecclesiastica gentis Anglorum, dove descrive nel monastero di Streanaeschalch un monaco che componeva canti nella lingua materna su temi della Sacra Scrittura.

6. Giullari e trovatori

Dal X secolo in poi, in Europa, musicanti e danzatori di umile condizione, chiamati giullari, girovagavano tra castelli e villaggi per allietare le feste dei signori ed esibirsi sul sagrato delle chiese. Essi proponevano una musica profana, che non aveva contenuto sacro e non apparteneva alla liturgia. Eseguivano per lo più danze, come il trotto e il salterello e, in epoca più avanzata, semplici melodie tratte dai poemi epici sulle gesta di eroi e cavalieri. Questi musicisti, con il loro vagare, svolgevano un’importante funzione di collegamento: in un periodo in cui viaggiare era pericoloso e difficile, portavano, oltre alla musica e agli spettacoli, comunicazioni e notizie da lontano. I cantori che rinunciavano alla vita nomade per vivere stabilmente nelle corti feudali del XII e XIII secolo presero il nome di menestrelli, musicisti al servizio dei signori. Essi non erano né poeti né compositori, cantavano, suonavano e danzavano, brani composti da altri, o presi dal repertorio della musica popolare del tempo, trasmessa oralmente. Non sapevano né leggere né scrivere, per questo non sono rimaste testimonianze scritte della loro musica.

Nei territori francesi, tra il XII e il XIII secolo, fioriscono invece le figure di musicisti colti: sono musicisti che appartengono alle famiglie dei feudatari, e compongono canzoni secondo lo stile del trobar, cioè inventare rime e “rivestirle” di musica. Al sud della Francia, vengono chiamati trovatori, che cantano in lingua d’oc, il volgare della Francia meridionale; al nord, dove si diffondono successivamente, vengono detti trovieri, che cantano nel volgare parlato nei territori del nord, la lingua d’oil. Le loro canzoni si ispirano ad argomenti amorosi, a vicende cavalleresche, e alla vita di tutti i giorni.

7. La nuova musica nel nuovo Millennio (X-XI)

Nell'Alto Medio Evo la musica non possedeva un sistema di scrittura che permettesse la trasmissione delle melodie se non tramite la memorizzazione. Presso i più fiorenti monasteri aveva preso forma una sorta di notazione, tramite segni che ''mimavamo'' in maniera stilizzata i gesti del capocoro; ma si trattava in ogni caso di un mero ausilio per cantori che comunque dovevano già conoscere le melodie; nulla infatti si poteva dedurre circa l'altezza o la durata delle note.

Guido d'Arezzo e l'allievo Theobaldo:

Le evidenti esigenze di rendere certa la trasmissione delle melodie rendevano necessaria l'invenzione di un diverso sistema di scrittura musicale. I tentativi di scrittura diastematica (cioè con rigo) furono vari, ma si affermò quello ideato da Guido d'Arezzo, un monaco benedettino che teorizzò un sistema di notazione universale, chiamato esacordo guidoniano. Questo sistema permetteva non solo una più agevole memorizzazione dei canti, ma i cantori potevano intonare anche a prima vista un canto a loro sconosciuto.
L'esacordo è un gruppo di sei note adiacenti intervallate da un tono ad eccezione dell'intervallo 3a-4a che è di un semitono. Guido adottò come parametro l'Inno di San Giovanni, dedicato al Battista e molto popolare all'epoca, nel quale le sillabe iniziali di ogni emiverso iniziano con una nota di un tono (o semitono) superiore, e chiamò le note con queste sillabe:

Ut  -  Ut queant laxisRe  

Re -   Resonare fibrisMi  

Mi -  Mira gestorum

Fa  -  Famuli tuorum

Sol     -   Solve polluti

La     -   Labii reatum

Si - Sancte Johannes

In seguito l'Ut, considerato dissonante, fu sostituito dal Do dalla parola Dominus = Signore). Attraverso la tecnica della solmisazione (o solmizzazione), antenata dell'odierno solfeggio, i chierici cantori facevano riferimento alla sillaba dell'Inno di uguale intonazione.
La notazione guidoniana si sviluppò nei secoli successivi: sia per quanto riguarda i segni di durata delle singole note, che per lungo tempo ebbero molte differenze morfologiche da regione a regione (in alcuni manoscritti si usarono anche lettere dell'alfabeto); sia quanto al rigo musicale, inizialmente su due righe, ma nei secoli successivi assai variabile fino a stabilizzarsi nel tetragramma caratteristico del gregoriano.
I maggiori centri di scrittura del canto gregoriano erano collocati in Francia, Svizzera, Germania ed Italia: Reichenau, Magonza, Fulda, Einsiedeln, Treviri, Metz, Chartres, Rouen, Tours, Corbie, San Gallo, Luxeuil, Bobbio, Montecassino, Nonantola). Uno dei manoscritti più antichi che abbiamo è l'antifonario di Sangallo notato dal monaco Hartkero intorno all'anno 1000.

Sviluppo della monodia

La diffusione di un unico rito e di una sola musica su tutto il territorio, operata nei secoli precedenti, venne ben presto a scontrarsi con la tendenza ad integrare i testi tradizionali all'interno delle comunità, che li arricchirono con la propria specifica cultura spirituale e con la propria sensibilità.

Vennero così elaborate nuove forme musicali:

  • le sequenze (dal latino sequentia = continuazione): originariamente erano congiunte allo jubilus, il lungo vocalizzo che conclude la parola Alleluia, solitamente ripetuto alla fine del versetto. Si affermarono nella liturgia soprattutto grazie ai monasteri, tanto da divenire una forma liturgica autonoma, con sequenze a più strofe cantate da due cantori o da due cori.
  • il versus (linea, fila, verso di poesia): ritornello corale da intercalare alle strofe di un inno;
  • il tropo (dal greco tropos = mutamento, maniera, trasferimento): aggiunta di nuovo testo letterario o parte musicale o nuovo testo musicato a un brano preesistente della liturgia; essi si collocavano all'inizio del brano (tropi di introduzione), nel corpo dello stesso (tropi intercalari) o alla fine (tropi di conclusione);
  • l'historia, una raccolta omogenea di testi brevi che riproducono la storia della Salvezza dai patriarchi biblici ai santi cristiani in onore dei quali si celebrava.

Il contrappunto

Insieme al trionfo del canto gregoriano, monodico, il X secolo (ma il fenomeno era iniziato già nel secolo precedente) vide anche la nascita del contrappunto, forma musicale che aprì la strada alla polifonia. Le prime documentazioni giunteci sono il trattato anonimo Musica enchiriadis, della fine del IX secolo, quasi per la metà dedicato alla polifonia, ed un saggio di Giovanni Scoto Eriugena, che scrisse sempre nello stesso periodo un'opera sul canto polifonico, definendolo come canto a due voci. Inizialmente si trattava di una forma di polifonia piuttosto semplice, denominata organum, a due voci: la vox principalis (o cantus) che canta il cantus firmus, cioè la melodia gregoriana e la vox organalis (o organum); dopo un attacco all'unisono, le due melodie raggiungono l'intervallo di quarta o di quinta (a volte rafforzate da altre voci all'ottava) e procedono parallelamente, nota contro nota (punctum contra punctum, da cui il termine contrappunto). Infine si riavvicinano di nuovo fino all'unisono. 

Nel giro di un secolo si giunse al discantus, con le stesse caratteristiche dell'organum ma con le linee melodiche delle due voci che procedono al contrario: quando una sale, l'altra scende e viceversa. La struttura melodica quindi si arricchì, e la dottrina della Musica enchiriadis fu completata ed ampliata da molti contributi: gli Scholica Enchiriadis, trattato anonimo in forma di dialogo; il Beato Ermanno il Contratto con varie opere tra cui De musica e De monochordo; il suo allievo Bertoldo di Reichenau ; l'abate Wilhelm von Hirsau; Notkero III di Sangallo; Hucbald di Saint Amand (De harmonica institutione); e soprattutto Guido d'Arezzo nel suo Micrologus de musica del 1025-1026. Tuttavia tale ricchezza portò ad un graduale sopravvento della vox organalis, col conseguente oscuramento non solo della voce principale ma anche e soprattutto del testo liturgico: lo sviluppo delle forme polifoniche produsse di fatto l'inizio dello scollamento fra musica e parole, unità inscindibile che era invece l'essenza stessa del gregoriano.

8. Il trionfo della polifonia (dal 1250 al 1550)

Il Rinascimento fu un fenomeno culturale molto esteso, tanto da dare il nome ad un’epoca della storia italiana e europea, cioè il periodo compreso tra il XV e il XVI secolo. Nacque nel XV secolo a Firenze, che era tra le città europee più popolose e ricche del tempo, portò ad un forte aumento della ricchezza e del prestigio delle corti ed ebbe importanti effetti in campo musicale ed artistico. I signori delle corti, per dimostrare la propria importanza ai sudditi e agli altri regnanti, si contendevano i migliori compositori. Ogni corte, quindi, sceglieva con attenzione i musicisti da assumere: all’epoca i più richiesti erano i musicisti fiamminghi, provenienti dalle Fiandre (attuale Belgio), che erano i migliori nel contrappunto (la composizione di brani con più linee melodiche). I musicisti erano stipendiati come servitori di corte e, se sapevano ottenere la benevolenza del signore, ricevevano privilegi e incarichi importanti. Tutto ciò portò alla diffusione della musica profana.In quello stesso periodo si verificarono degli eventi storici epocali. Innanzitutto le grandi scoperte geografiche, che cambiarono l’immagine del mondo fino ad allora conosciuto. In secondo luogo, la divisione dei cristiani in Cattolici ed Evangelici, attraverso la Riforma protestante, avviata dal monaco Martin Lutero, che si scagliò contro la corruzione della chiesa di Roma.

Ars antiqua

Il secolo XIII fu il terreno del trionfo dell'ars antiqua, che ebbe come centro principale la Scuola di Notre Dame. Con il fiorire melodico via via anche i testi liturgici si arricchirono e si sovrapposero; si diffusero le clausulae che abbellirono e sostituirono il discantus.

Nacque il mottetto spirituale latino: una musica liturgica polifonica, vocale o vocale-strumentale, con nuovo testo latino. La nuova tendenza si estese successivamente anche alla musica profana, con l'affermarsi del mottetto francese.Si diffusero clausole senza testo, che potevano essere cantate con testo latino.

Ars nova

Nel 1320 ca. Philippe de Vitry scrisse il trattato Ars nova musicae, nel quale troviamo teorizzato il sistema che si andava diffondendo allora di notazione mensurale, cioè che tenesse conto della durata delle note.

Il nuovo sistema ebbe subito un grande successo, tanto che Jacopo di Liegi (1260-1330?) nel suo Speculum musicae lamentava la decadenza della musica per colpa dell'ars nova; in particolare il musicologo criticava le composizioni dei suoi contemporanei che non rispettavano più il ritmo ternario, considerato tradizionalmente come la perfezione.

La portata del fenomeno costrinse nel 1342 papa Giovanni XXII (il secondo papa ad Avignone) ad emettere il documento Docta Sanctorum Patrum, dove il pontefice muoveva una seria critica verso l'ars nova ed esortava alla conservazione dell'ars antiqua e della centralità del gregoriano.

Guillame Dufay e Gilles Binchois:

Canti popolari

In questi secoli si assistette allo sviluppo dei canti popolari devozionali: cantiga e villancico nella penisola iberica (celebre la raccolta spagnola delle Cantigas de Santa Maria); cantique in Francia; carol in Inghilterra; geisslerlieder in Germania; lauda in Italia.

Le occasioni erano molteplici: feste, processioni, sagre. Molto amate furono le sacre rappresentazioni e le parodie, come le messe dei suonatori e dei beoni (spielermesse e saufermesse).

L'ordinario

Nel XIV secolo i musici applicarono la polifonia anche all'ordinario della messa: la più antica giuntaci è probabilmente la messa di Tournai, anonima, polifonica in tutti i pezzi dell'ordinario (tranne il Sanctus).

Con la Messa di Notre Dame di Guillame de Machault, per la prima volta nella storia della musica religiosa, i cinque brani dell'ordinarium missae in polifonia sono chiamati con il termine messa, e per la prima volta inoltre sono l'opera di un unico compositore.

Verso la fine del secolo le messe musicate divennero veri e propri cicli: la più antica probabilmente è la Missa alma redemptoris mater di Lionel Power (1375-1445).

Dopo poco i tipi si erano codificati nei seguenti:- messa sul cantus firmus: tutte le composizioni seguono una determinata melodia. Distinta in:     - messa con discanto (tema gregoriano nel registro del soprano);     - messa del tenor (tema qualunque nel registro del tenore);- messa parafrasata: melodia monodica rielaborata;- messa parodiata: libera rielaborazione di una composizione polifonica.

Il 1400: i fiamminghi

Influenzati dall'opera di John Dunstable, inglese, i fiamminghi Guillame Dufay e Gilles Binchois inventarono la nova ars, caratterizzata dalla consonanza dell'intervallo di terza.

Si affermò la nuova tecnica del falsobordone: una voce mediana tra l'acuta e la grave una quarta al di sotto del cantus firmus. Le tecniche profane e sacre si mescolarono, e il gregoriano scomparve progressivamente dal suo posto di base della composizione. Si diffusero i mottetti a tema sacro, più semplici degli antichi e con testi dedicati spesso alla Madonna (liedmotette).

Johannes Ockeghem, alunno di Binchois, scrisse messe e mottetti molto armonici ed espressivi: il suo Requiem è la prima messa per i defunti conosciuta.

Josquin Desprez, musicista molto fecondo, adottò la tecnica della imitazione continua e del canone.

La musica fiamminga fu fondamentale nella storia della musica europea, e la sua importanza fu avvertita già dai contemporanei, come per esempio lo storico della musica Johannes Tintoris nel trattato Sull'arte del contrappunto.

La Cappella Sistina

Alla corte papale da molti secoli esisteva la Schola cantorum, un gruppo di chierici incaricato del canto liturgico. Un primo coro permanente fu formalmente istituito dopo il rientro dalla cattività avignonese.

La cappella pontificia venne fondata da papa Martino V e raggiunse la forma ufficiale (24 cantori) sotto papa Sisto IV che fece costruire la Cappella Sistina, dove il coro operava nelle messe quotidiane oltre ad accompagnare il papa nelle uscite dal Vaticano.

Divenne distintivo del coro lo stile a cappella che si andava diffondendo in quegli anni, come ideale della pura parola di Dio (vedi Il '500 in Italia: il Concilio di Trento e Palestrina).

Sotto papa Leone X (1513-1521) l'organico giunse a 32 cantori ed i compositori venivano assunti con pubblico concorso: si videro cosi i migliori musicisti europei, Dufay, Desprez, Cristobal de Morales, Giovanni Pierluigi da Palestrina.

9. Riforma protestante e controriforma cattolica

Martin Lutero:

La musica protestante

Come già era accaduto per la polifonia romana, nella prima metà del XVI secolo anche il corale protestante, almeno nelle sue prime manifestazioni, fondò la propria musica sul gregoriano: così fece Nikolaus Decius (1485 circa-1541), che nel 1522 scrisse alcuni canti dell'Ordinario, dando di fatto origine alla primitiva forma del Kirchenlied, la cantata sacra tedesca.

L'importanza conferita alla partecipazione diretta dei fedeli spinse Lutero a riservare alla musica un posto preminente nello svolgimento del rito. Egli quindi si impegnò in prima persona nella creazione di un repertorio di facile esecuzione, attingendo alla tradizione dei canti spirituali popolari (Lieder) risalente al IX sec. e formatasi sul solco delle melodie gregoriane, ma anche facendone comporre di nuove a imitazione di queste. La stesura dei salmi fu effettuata dallo stesso Lutero (talvolta anche per la parte musicale) o in collaborazione con i musicisti del tempo. I testi erano traduzioni libere in tedesco di inni preesistenti e salmi oppure invenzioni poetiche che a questi più o strettamente si richiamavano.

Dopo i salmi, egli si dedicò alla modificazione della messa, insieme al Kapellmeister Konrad Rupsch, dando vita all'opera Deudsche Messe und Ordnung Gottisdiensts.

La Controriforma

Il Concilio di Trento (1545-63), per ridare uniformità alla liturgia in tutta la Chiesa cattolica occidentale, indicò la necessità di eliminare dal patrimonio musicale le incrostazioni accumulatesi negli ultimi tre secoli (uso di melodie profane, di strumenti, di voci femminili, abitudine all'improvvisazione virtuosistica, sovrapposizione di voci e melodie ecc.) e soprattutto rispose all'esigenza di far tornare alla chiarezza i testi della liturgia.

La discussione, sostenuta soprattutto dai cardinali Bernardo Novagero e Giovanni Morone, tuttavia non giunse mai ad un punto fermo; il concilio emise così nel 1562 il Decreto su ciò che bisogna osservare ed evitare nella celebrazione delle messe.

Queste indicazioni non ebbero mai un carattere impositivo; tuttavia furono sufficienti per caratterizzare la musica liturgica del periodo, inducendo i compositori ad non produrre opere di gusto teatrale ma nello stesso tempo non mettendo in discussione l'importanza del musicista di professione nel canto liturgico (vedi per approfondire l'articolo su Il '500 in Italia: il Concilio di Trento e Palestrina). Fra le figure di quel periodo ricordiamo soprattutto Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525 - 1594), compositore più di ogni altro legato agli ambienti della Controriforma e capace di adeguare artisticamente la polifonia romana a cappella alle esigenze di rinnovamento spirituale richiesto dalla Chiesa di Roma. Un altro importante compositore fu Orlando di Lasso (1523-94), nativo delle Fiandre, che coltivò uno stile diverso da Palestrina, più direttamente riferito alla parola del testo. Differente dalla scuola romana fu quella veneziana, più sontuosa e con uso di strumenti musicali; ne sono testimonianza le messe di Giovanni Gabrieli e di Andrea Gabrieli.

10. L'Europa barocca

L'area cattolica romana

Nel secolo del Barocco la musica sacra fu attraversata da molteplici tendenze. Mentre nelle Fiandre continuava la tradizione polifonica, seguendo i dettami del Concilio di Trento l'indirizzo dominante nell'Europa cattolica romana divenne la monodia con inserti corali in stile polifonico.

Tuttavia i compositori ormai non si esprimevano più nella sola musica sacra, e quindi anche la musica liturgica risentì del gusto del Barocco; e così entrarono nelle melodie dell'Ordinario le tecniche dei ritornelli, della variazione, del basso ostinato, del monotematismo iniziale, sino all'utilizzo di vere e proprie forme strumentali come sonata, sinfonia e concerto.

Nacquero così nuove forme:

  • la cantata (sia sacra che profana), termine usato per la prima volta da Alessandro Grandi nel 1620;
  • la sonata da chiesa;
  • le messe per organo, alternato alla polifonia;
  • la messa pastorale, su temi popolari natalizi;
  • l'oratorio, attestato come forma musicale autonoma da Francesco Balducci nel 1625 circa.

Autorevoli compositori di musica sacra furono: Claudio Monteverdi (1567-1643) con tutta la sua produzione liturgica; Girolamo Frescobaldi (1583-1643), organista della Basilica di San Pietro in Vaticano, del quale ricordiamo soprattutto le due messe Sopra l'aria della Monica e Sopra l'aria di Fiorenza; Giacomo Carissimi, che fece dell'oratorio in latino un'alta opera d'arte; Jean-Baptiste Lully, autore di Grand Motets e Petit Motets; Marc Antoine Charpentier, che compose molti oratori in francese e Messe dall'impronta assai personale: l'introduzione del Te Deum H. 146 (uno dei quattro pervenutici) è diventata una delle melodie più conosciute ai giorni nostri; Dario Castello (morto alla metà del secolo), che operò presso la Basilica di San Marco in Venezia; Jacopo Peri (1561-1633), autore di oratori; Alessandro Stradella, compositore di oratori e sonate da chiesa; Gregorio Allegri, noto soprattutto per il Miserere; Marco Uccellini, autore nel 1654 dei Salmi concertanti parte con istrumenti e parte senza, con Letanie della Beata Virgine; Giovanni Maria Bononcini, violinista, compositore e teorico della musica; Biagio Marini, inventore della tecnica per violino detta scordatura: Heinrich Ignaz Franz Biber (1644-1704), che portò a vette eccelse la predetta tecnica della scordatura specialmente nelle Sonate del Rosario; Arcangelo Corelli, compositore e violinista, che portò un fondamentale contributo allo sviluppo della forma musicale del concerto grosso, da lui portato all'apice della perfezione. E ancora: Giovanni Legrenzi; Giovanni Battista Fontana; Giovanni Girolamo Kapsberger; Jean Titelouze.

La Missa Salisburgensis a 53 voci è la più tipica composizione di musica sacra barocca, prototipo del barocco detto colossale. Anonima ma tradizionalmente attribuita a Orazio Benevoli, oggi viene universalmente riconosciuta come composta dal già citato Heinrich Ignaz Franz Biber.

L'area protestante

La Germania e tutta l'area protestante diedero nel 1600 illustri figure di musicisti, fondamentali per l'evoluzione successiva.

Jan Pieterszoon Sweelinck (1562-1621), olandese calvinista, è considerato l'inventore della toccata e fuga.

Heinrich Schutz (1585-1682) coltivò il genere delle Passioni, diffusosi in Germania in risposta all'oratorio. Kapellmeister a Dresda, Schutz aveva studiato a Venezia e quindi realizzò l'ideale di una musica tedesca pervasa di gusto italiano. Pur nel grande rigore fu sperimentatore eclettico, elegante e profondo; scrisse un vasto repertorio di musiche sacre sia strumentali che cantate, tra cui ricordiamo Le sette parole di Cristo in croce; i tre libri di Simphoniae Sacrae ed un gran numero di Salmi e di Concerti Spirituali.

Samuel Scheidt (1587–1654), fu il primo a rappresentare una musica tedesca, protestante, svincolata da Roma. Compose sia per organo che per voce a cappella, con la tecnica del basso continuo.

Nella seconda metà del secolo Johann Pachelbel (1653-1706), compositore di numerose pagine di musica barocca, è ricordato per essere l'autore del celebre brano conosciuto con il suo nome, il Canone di Pachelbel; Johann Kaspar Ferdinand Fischer 1665 circa-1746), celebre clavicembalista, fu anticipatore di Bach.

La scuola organistica tedesca

Johann Jakob Froberger (1616-166), allievo di Frescobaldi, nella musica sacra ebbe notevole influenza sulla scuola organistica tedesca, che annovera fra i suoi massimi esponenti del secolo Johann Adam Reinken (1623-1722) e soprattutto Dietrich Buxtehude (1637- 1707), di origine danese, che compose utilizzando le tecniche più varie in allora, come la fuga, il corale, la fantasia, e influenzò tutti i successivi compositori per organo, non ultimo J,S, Bach.

Andreas Werckmeister (1645-1706) fu, oltre che compositore e organista, teorico della musica. Egli - ispirandosi alle scoperte di Keplero e sulle orme di Boezio - ricondusse l'armonia musicale a quella delle sfere celesti, concludendo che la musica è il risultato dell'opera di Dio.

L'Inghilterra anglicana

Una menzione a parte merita l'inglese Henry Purcell (1659-1595) che compose musica sacra e nei suoi numerosi anthems rivelò una scrittura originale e profonda.

11. Il 1700

Nel XVIII secolo si possono distinguere due tendenze: il tardo barocco e l'età classica.

Il tardo barocco

Dopo il trionfo del barocco seicentesco, la produzione musicale sacra proseguì abbondante e varia per tutto il secolo e la grande fioritura della musica profana, specialmente il successo dell'opera lirica, spesso rischiò di contaminare la liturgia con esecuzioni di impronta teatrale.

Papa Benedetto XIV nell'enciclica Annus qui del 1749 distinse tra canti sacri e musiche di scena, raccomandando la salvaguardia della santità dell'edificio della chiesa e la comprensibilità dei testi; da notare che detto documento permise l'uso di alcuni strumenti musicali, seppur alle condizioni invocate.

Johann Sebastian Bach:

I musicisti si radunavano nei grandi centri dell'Europa e quasi tutti componevano musica sia sacra che profana:
a Vienna, dove Johann Joseph Fux (1660-1741) scrisse numerose messe (brevi, solenni e da requiem) e Antonio Caldara (1670-1736), compositore molto prolifico, seppe sintetizzare nelle sue opere gli influssi delle varie scuole italiane, specialmente nella musica sacra, dove contiamo oltre 20 messe, composizioni varie e 38 oratori, fra cui Giuseppe, Il re del dolore, La Passione di Cristo) che secondo la critica influenzarono Bach e Telemann;

in Italia:

  • Giovanni Bononcini (1670-1747 ) fu compositore di oratori;
  • Tomaso Giovanni Albinoni (1671-1751 ) scrisse 1 messa e 2 oratori;
  • di Antonio Vivaldi (1678-1741 ), compositore originale anche nella musica liturgica, ci sono prevenute circa cinquanta opere di musica sacra di genere differente (alcune parti della Messa tridentina, oltre a salmi, inni, antifone e mottetti) nello stile chiamato moderno, cioè concertato alla moda veneziana (in contrapposizione con lo stile antico di Palestrina), mentre nei mottetti per voce solista si avverte l'influenza dell'opera lirica ed in altre opere l'influsso del concerto. Egli concepì anche un genere originale, il mottetto d'introduzione, che tuttavia non ebbe fortuna, e usò una nuova tecnica: l' assegnazione al violino della parte melodica nelle parti corali mentre il coro canta in sottofondo. Tra le sue opere liturgiche ricordiamo il Gloria RV 589, i Magnificat RV 610  e RV 611 , lo Stabat Mater RV 621 e l'oratorio Juditha triumphans;
  • Giuseppe Domenico Scarlatti (1685-1757) autore di una cospicua e validissima produzione di musica sacra;
  • Benedetto Giacomo Marcello (1686-1739) che produsse molte composizioni sacre tra cui oratori, messe, inni;
  • Nicola Antonio Giacinto Porpora, (1686 ca.-1766), napoletano, compositore di oratori;
  • Giuseppe Tartini (1692-1770) compositore di numerose canzoncine sacre (benché per ironia la sua fama sia soprattutto legata alla sonata Il trillo del diavolo);
  • Baldassare Galuppi (1706-1785) di cui si conoscono parecchi oratori e altra musica sacra varia;
  • Giovanni Battista Draghi detto Pergolesi (1710-1736) nonostante la sua breve vita anche nella musica sacra fu un fecondo autore, che diede opere (composte nei suoi ultimi mesi) molto apprezzate: il Salve Regina del 1736 e lo Stabat Mater per orchestra d'archi, soprano e contralto, che la tradizione vuole sia stato completato il giorno stesso della sua morte e che Bach parafrasò nel suo salmo Tilge, Höchster, meine Sünden (BWV 1083);
  • Johann Adolf Hasse (1699-1783) tedesco di nascita ma italiano di elezione, compose molta musica da chiesa, ed è considerato il pendant cattolico di Bach.

In Germania domina su tutti la figura gigantesca di Johann Sebastian Bach, 1685-1750, compositore, organista, clavicembalista e maestro di coro, universalmente riconosciuto come il culmine della musica sacra protestante ed uno dei massimi compositori della storia. Il suo genio riuscì a conservare l'unità tra musica profana e musica sacra, utilizzando il metodo della parodia per mezzo del quale poteva trasformare composizioni profane in opere spirituali (con l'inserimento di un nuovo testo appropriato). Tutta l'opera di Bach è somma: la sua rappresentazione del messaggio cristiano in musica, che travalica i limiti confessionali, gli ha guadagnato in Germania il soprannome di Quinto Evangelista e la dignità della commemorazione nel calendario liturgico luterano nel giorno della sua morte, il 28 luglio.Ma fra i moltissimi grandi musicisti tedeschi, ricordiamo anche Evaristo Felice Dall'Abaco (1675-1742) italiano di nascita, Konzertmeister alla corte di Monaco, che compose concerti da chiesa e sonate da chiesa; Georg Philipp Telemann (1681-1767) che ebbe una produzione vastissima, tra cui la musica da chiesa per tutte le domeniche e le feste di oltre dodici anni (circa 3000 brani per orchestra ed organo); le musiche per la Passione per gli anni dal 1722 fino al 1767; le musiche inaugurali per l'insediamento di predicatori dal 1728 al 1766; e ancora decine di musiche complete di giubilo per coronamenti ed inaugurazioni, servizi funebri completi per i reali e gli insigni personaggi di Amburgo, musiche per matrimoni, oratori, sonate per flauto o oboe solista; Jan Zach (1699-1773) che compose 40 Messe, tra cui sei solenni, un Requiem, un Miserere.

In Francia François Couperin (1668-1733) fu organista presso la Chapelle Royale di Versailles di Luigi XIV. La sua musica per organo è costituita da diversi brani raccolti in due Messe; Jean-Philippe Rameau (1683-1764) fu autore di mottetti;

in Inghilterra Georg Friedrich Händel (1685-1759) compose oratori e musica sacra vocale. Molto conosciuto è l'Alleluia tratto dall'oratorio Messiah; Maurice Greene (1696-1755) scrisse numerose composizioni canore sacre e profane, tra cui l'oratorio The Song of Deborah and Barak del 1732 e una raccolta di anthem il più noto dei quali è Lord, let me know mine end. Morì lasciando incompiuta l'antologia di musica sacra Cathedral Music su cui stava lavorando. e che è tuttora largamente usata nella liturgia anglicana.

L'età classica

Wolfgang Amadeus Mozart:

Alle opere concertate del barocco seguì nell'età classica la cosiddetta messa sinfonica.
Ricordiamo le undici messe composte da Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), fra le quali in particolare la sublime Messa in Do minore K427 e il conosciuto Requiem K626 che l'autore lasciò incompiuto. Mozart compose musica da chiesa bellissima e molto eseguita (; riuscì a raggiungere il vertice dell'arte anche nelle composizioni sacre, nonostante che egli subì dapprima le rigide direttive del suo committente, l'arcivescovo principe di salisburgo Hieronymus von Colloredo, e successivamente fu costretto entro i confini delle convenzioni, senza poter comunicare molto della sua religiosità personale (che Mozart invece espresse nelle opere profane).
Franz Joseph Haydn (1732-1809) fervente cattolico e assai devoto, compose molta musica per la liturgia e messe, con stile originale, gioioso, luminoso e leggero.

12. Il romanticismo

Johannes Brahms:

Benché nel XIX secolo la musica sacra ormai non fosse più la Messa nell'Ottocento). E così troviamo la Messa in do maggiore di Ludwig van Beethoven, ancora nello stile classico sulle orme della musica mozartiana, e la successiva Missa sollemnis del 1823, che ruppe decisamente con la tradizione e diede inizio ad una nuova epoca di stile.
la parte più importante delle composizioni, tutti i grandi musicisti romantici si confrontarono con la scrittura di opere per la liturgia (vedi anche
Molto più inserito nel filone romantico fu Franz Schubert, il quale nella scrittura delle messe si concesse grande libertà e compose trattando il testo liturgico in modo arbitrario, per esempio tagliando nel Credo il passo Credo in unam sanctam catholicam et apostolicam ecclesiam.
Carl Maria von Weber (1786-1826) compose un corpus di musica sacra cattolica molto popolare nella Germania dell'800.
Troviamo composizioni sacre nel repertorio di Franz Liszt (1811-1886); di Johannes Brahms (1833-1897), il quale, di fede luterana, per tutta la vita non smise mai la lettura della Bibbia dalla quale trasse i testi per le sue composizioni corali sacre; di Joseph Gabriel Rheinberger (1839-1901) che scrisse dodici Messe (uno per doppio coro, tre per quattro voci a cappella, tre per voci femminili e organo, due per voci maschili e una per orchestra), un requiem, e uno Stabat Mater.
Figura di rilievo fu anche Joseph Anton Bruckner (1824-1896), tipico autore tardo-romantico, che anche nella musica profana fu fortemente influenzato dalla sua formazione di organista di chiesa, usando spesso le sezioni dell'orchestra come se passasse da un registro d'organo ad un altro: fino all'età di 37 anni compose esclusivamente musica sacra e il suo stile sinfonico, pur non lasciando grande impronta diretta sugli autori posteriori, ebbe un successore importante in Mahler.
Non si dimentichino importanti contributi dai grandi dell'opera italiana: Gioacchino Rossini (1792-1868), autore di uno splendido Stabat mater oltre che di Messe e di altre musiche liturgiche. La sua ultima composizione fu la Petite messe solennelle (1863) per dodici cantori di tre sessi, uomini, donne e castrati, due pianoforti ed armonium.
Gaetano Donizetti (1797-1848) fu autore di musica sacra non molto conosciuta così come la produzione di musica sacra di Vincenzo Bellini (1801-1835), che risale interamente al periodo degli studi.
Anche Giuseppe Verdi (1813-1901) scrisse molta musica sacra, fra cui la nota Messa di requiem per la morte di Alessandro Manzoni, nonché un Pater noster, su testo di Dante, e i Quattro pezzi sacri, pubblicati nel 1898: Ave Maria, Stabat Mater, Laudi alla Vergine e Te Deum. Fu anche promotore e coautore della nota Messa per Rossini.

Questi decenni furono comunque gli ultimi che videro i musicisti cimentarsi abitualmente nella loro carriera come compositori di messe. Da allora la scrittura di messe in musica diminuì sensibilmente, anche per la prevalenza della messa bassa, e la composizione di musica sacra - tranne qualche eccezione - divenne per lo più occasionale nella parabola artistica dei musicisti e spesso (purtroppo) mirata più alle sale di concerto che alla liturgia.

13. Tra Ottocento e Novecento

A fine Ottocento la musica sacra ebbe uno spazio sempre minore nei corpus compositivi dei musicisti. Nella Francia di fine secolo emerse un'opera originale, il Requiem di Gabriel Fauré (1845-1924): l'In paradisum è ancora molto spesso eseguito ai nostri giorni. Il linguaggio cromatico tipico del periodo fu alla base delle musiche per organo di Max Reger (1873-1916).

Il recupero della musica antica

A partire dalla metà del XIX secolo, in ambito cattolico da diverse direzioni rinacque l'interesse per la musica liturgica più tradizionale, cioè la polifonia rinascimentale e il gregoriano che ormai era in totale disuso da oltre un secolo.

Il movimento ceciliano

Le prime avvisaglie di questo movimento (vedi anche il post Il movimento ceciliano) si videro quando nel 1825 Anton Friedrich Justus Thibaut pubblicò anonimamente l'opera Über die Reinheit der Tonkunst (La purezza della musica), in cui egli elogiava la musica antica, specialmente quella di Palestrina. L'esigenza di un ritorno alle origini della musica liturgica fu ben espressa da Karl Proske (1794-1861), che curò una collezione di oltre 2000 pagine di polifonia sacra rinascimentale intitolata Musica divina, pubblicata in quattro volumi tra il 1853 e il 1862. I brani, opera dei più grandi maestri del Rinascimento, costituivano ciò che Proske chiamava Polyphoniam Vere Ecclesiasticam.

Pochi anni dopo, nel 1868, Franz Xaver Witt (1834-1888) fondò l'Associazione di Santa Cecilia allo scopo non solo di ridare vita all'uso del canto gregoriano e della polifonia ma anche di promuovere nella chiesa cattolica la composizione di nuova musica liturgica in stile antico. L'Associazione ebbe il riconoscimento di Papa Pio IX nel 1870 con il Breve "Multum ad movendos animos". Di lì a poco associazioni simili nacquero in altri paesi, fra i quali Italia, Olanda, Francia, Stati Uniti, Polonia.

Il movimento ceciliano fu dunque una risposta all'oblio del gregoriano e della polifonia rinascimentale, mentre per le nuove composizioni si auspicavano una maggiore sobrietà e la ricerca della partecipazione dell'assemblea nella liturgia attraverso il canto. Le parrocchie presero a organizzare le "Scholae cantorum" dedite all'animazione liturgica e all'apprendimento dell'arte musicale, mentre i vescovi costituivano nei territori gli Istituti Diocesani di Musica Sacra, per formare i maestri delle "Scholae". Anche l'arte organistica risentì dell'influsso di questo Movimento. I principali esponenti in Italia furono Lorenzo Perosi (1872-1956) e Giovanni Tebaldini (1864-1952).

Il movimento trovò grande appoggio nel pontificato di papa Pio X: il 22 novembre 1903 (il giorno di Santa Cecilia) egli emanò quello che è considerato il manifesto del movimento, cioè il Motu Proprio ''Inter Sollicitudines'' sul rinnovamento della musica sacra, dove confermò i fondamenti del cecilianismo ed esortò tutta la Chiesa cattolica ad uniformarvisi.Di fatto il documento fu scritto dal padre gesuita Angelo De Santi, tra i fondatori del Pontificio Istituto di musica sacra e Presidente dell'Associazione italiana di Santa Cecilia. In esso venne definita una vera e propria gerarchia delle musiche:

  1. canto gregoriano quale canto liturgico per eccellenza, da promuovere e introdurre dappertutto;
  2. polifonia vocale romana;
  3. musica moderna ma non teatrale o a carattere profano;
  4. canti popolari per funzioni religiose al di fuori delle liturgie solenni.

La musica vocale divenne l'ideale, era comunque permesso l'organo, e tollerati altri strumenti ma non il pianoforte e quelli fragorosi e da musica leggera. I cori si auspicavano composti da uomini e fanciulli, meglio chierici. I l Motu proprio rimase determinante e rispettato sino alla fine degli anni '50 del XX secolo.

La restaurazione del gregoriano

Dopo l'edizione medicea il gregoriano era caduto in disuso. Nel 1833 Prosper Guéranger acquistò l'abbazia di Solesmes e fondò il monastero benedettino di Saint Pierre. Egli voleva una liturgia modello, bella. Si batté contro il nazionalismo e il modernismo e per la liturgia della tradizione romana.Avviò quindi lo studio sistematico delle fonti e dei manoscritti e nel 1889 vide la luce il primo volume della Paleographie musicale su un manoscritto di Sangallo; finora sono stati pubblicati 21 volumi.

Agli inizi del 1900 anche a Roma si riprese lo studio metodico del gregoriano e la Commissione pontificia presieduta da Dom Joseph Pothier, in una visione ancora tradizionale del gregoriano, curò la pubblicazione di gran parte del patrimonio musicale: nel 1905 apparve il Kyriale Romanum, nel 1908 il Graduale Romanum, nel 1912 il Liber Antiphonarius: questi volumi formano la Editio Typica, detta Vaticana.

Nel 1913 la commissione fu sciolta e il lavoro passò sostanzialmente a Solesmes, dove Dom Andrè Mocquereau (1849-1930) fece ricerche sui manoscritti e pubblicò molto altro materiale nella collana Paleographie musicale: egli promosse la partecipazione di tutti i monaci al canto, e forse un po' affrettatamente interpretò i neumi con ritmica moderna, come gruppi di due o tre note accentati sempre sulla prima.

Nel frattempo vi furono altri tentativi di spiegazione della ritmica gregoriana (mensuralismo).

Negli anni '50 del XX secolo un altro monaco di Solesmes, Dom Eugene Cardine (1905-1988), professore al Pontificio Istituto di musica sacra, studiò i neumi secondo i criteri della semiologia, e dimostrò che la Vaticana andava rivista non solo nei ritmi ma anche nelle melodie.

Il movimento liturgico

Agli inizi del XX secolo nella base ecclesiale sorse un movimento che propugnava un rinnovamento della chiesa e della liturgia, con tre correnti principali:

  • la corrente benedettina, con centri nelle abbazie di Beuron, Maria Laach e Seckau, secondo la quale il popolo doveva elevarsi alla liturgia che era intoccabile, e aveva come ideale il gregoriano e il latino;
  • la corrente liturgica popolare - Pio Parsch a Klosterneuburg - la quale in senso contrario riteneva che la liturgia doveva adeguarsi al popolo;
  • la corrente intermedia - Romano Guardini, Ludwig Wolker, Oratorio di Lipsia - che intendeva conciliare una liturgia proveniente dall'alto ma in lingua volgare.

L'Enciclica Musicae sacrae disciplina emanata nel 1955 da papa Pio XII sottolineò l'importanza dei canti, sia in latino che in lingua volgare (anche nella messa solenne).Tuttavia il dibattito rimase aperto: in quegli anni diversi convegni sulla pastorale liturgica auspicarono l'introduzione della lingua volgare anche nelle messe solenni e nei canti liturgici, mentre altri congressi rimasero invece schierati per la tradizione.

15. La musica sacra del 900

A fronte delle profonde trasformazioni subite dalla musica 'profana' del 1900, la musica sacra reagì in due modi: da un lato col recupero sempre più attento della musica antica; dall'altro con il rinnovato interesse di eccellenti compositori per opere legate alla liturgia: ricordiamo la Messa in sol minore di Ralph Vaughan Williams (1872-1958) e la produzione sacra di Leóš Janáček ([[1854-1928); Francis Poulenc (1899-1963) che compose molta musica dopo la conversione al cattolicesimo; Zoltán Kodály (1882-1967) musicista ed etnomusicologo, che compose una Missa brevis e uno Stabat mater.
Igor Fëdorovič Stravinskij ([[1882-1971) creò una musica sacra stilisticamente differenziata: tra le sue opere la Sinfonia di salmi del 1930; la Messa per coro misto e strumenti a fiato del 1944-47; i Requiem canticles del 1966.
L'opera - fra le altre di musica sacra - piu importante di Edward Benjamin Britten (1913-1976) è il War Requiem del 1961 scritto ed eseguito per la riapertura della Cattedrale di Coventry con la London Symphony Orchestra diretta da Britten stesso.
Tuttavia tutte queste opere, pur magnifiche, non diedero un vero impulso al rinnovamento della prospettiva liturgica, poiché non operavano un vero riavvicinamento della comunità al centro dell'azione. Il vero motore di novità furono i vari movimenti che si diffusero nelle confessioni cristiane.

Dopo il Concilio Vaticano II

I documenti del Concilio rimasero nel solco della classificazione del Motu proprio di papa Pio X; ma da subito quelli successivi attenuarono la rigidità gerarchica dei tipi di musica, consentendo un approccio più semplice e più vicino alle comunità dei fedeli.
Così il documento Principi e norme per l'uso del Messale romano, del 1970 poi riveduto per l'edizione del 2000, pone l'accento sulla celebrazione della messa con la comunità, rinunciando alla rigidità delle forme musicali e cercando il più possibile la partecipazione dell'assemblea.
La musica sacra viene quindi legata alla liturgia ma non come ricerca di uno stile ideale bensì come strumento della preghiera comune.

La ricerca musicale e le nuove tendenze

La musica colta ha talvolta composto brani liturgici seguendo i gusti delle avanguardie: nel mondo protestante ricordiamo Ernst Pepping (1901-1981), Hugo Distler (1908-1942) e Siegfried Reda (1916-1968); si tratta di autori ispirati da fede profonda, che incontrarono gravi difficoltà specialmente nel periodo nazista; tuttavia le loro opere sono raramente eseguite durante le liturgie ordinarie, per le difficoltà tecniche che presentano sia per l'esecuzione di un coro che per l'ascolto di un'assemblea.
Mossero i primi passi in questo contesto musicisti come Karlheinz Stockhausen (1928-2007), Pierre Boulez (1925) e Luciano Berio (1925-2003) . Altri come Heinz Werner Zimmermann (1930) trassero ispirazione dal jazz.
Nota è la monumentale Passione secondo Luca di Krzysztof Penderecki (1933), musicista di avanguardia, di profonda fede cattolica.
Molto stimato è anche l'estone Arvo Pärt (1935), autore di un cospicuo repertorio ed esponente del minimalismo sacro, insieme al polacco Henryk Mikołaj Górecki (1933-2010). Attinge alla tradizione ortodossa, con musiche di grande rigore spirituale e uno sguardo anch'egli al minimalismo sacro, l'inglese John Tavener (1944) (da non confondersi con il quasi omonimo nonché suo avo John Taverner, compositore inglese del XVI secolo).
Un nuovo impulso al canto dei salmi fu dato dal gesuita francese Joseph Gelineau (1920-2008): egli musicò i salmi tradotti direttamente dall'ebraico con musiche melodiose ma semplici, da poter essere cantate da un'assemblea; inaugurò così un modello seguito da molti compositori di salmi contemporanei.
Dagli anni 60 il centro ecumenico di Taizè influenzò il gusto di molte comunità ecclesiali europee. Inizialmente i fratelli cantavano salmi del XVI secolo e di Gelineau, poi Jacques Berthier (1923-1994) compose appositamente per la comunità nuovi pezzi liturgici, fatti di una musica semplice e regolare, gradevole, immediata e nello stesso tempo da meditazione.
Sempre negli anni 60 la ricerca musicale condusse ad episodi di contaminazione con la musica pop (il cosiddetto sacropop, la messa beat) e in ambito protestante anche rock (il gospelrock); negli anni seguenti e fino ai primi anni 2000 si è assistito alla diffusione della musica leggera cristiana ed al proliferare di nuovi autori e di ensemble con repertori molto eseguiti nelle messe, specie dai giovani.

16. Lo spiritual

Lo spiritual è un tipo di canzone religiosa popolare che ebbe origine in America dai movimenti revivalisti che nei secoli XVIII e XIX percorsero il mondo protestante soprattutto di quel continente a partire dal 1740.
Il termine deriva dal biblico «cantici spirituali», denominazione utilizzata nelle prime pubblicazioni per distinguere i testi dai salmi e inni in poesia utilizzati tradizionalmente nel culto.
Nato in tempi e luoghi in cui la schiavitù delle persone di colore era una realtà e la separazione razziale un aspetto sociale considerato ''normale'', anche la musica (così come le liturgie) rifletté tale questione.E così si distingue tra spiritual nero (''black spiritual'') e bianco (''white spiritual'').
Gli spiritunerials  costituiscono uno dei più grandi repertori della canzone popolare americana sopravvissuti anche nel XXIsecolo e sono probabilmente i più noti. Essi sono principalmente associati alle congregazioni ecclesiali protestanti afro-americane del profondo sud degli Stati Uniti, e traggono le loro radici dalle chiese evangeliche nere del XVIII secolo, dove avvenivano incontri più informali - spesso clandestini - nelle "praise houses" e nei "brush arbour meetings''.
La categoria 'white spirituals' include l'inno folk, la ballata religiosa e lo spiritual dei camp-meeting; questi canti sono la controparte del black spiritual e condividono con esso alcuni elementi musicali, alcuni simbolismi e probabilmente (in parte, almeno) una comune origine. Il genere, assai vasto, passò tuttavia inosservato negli Stati Uniti fino a quando nel 1933 George Pullen Jackson, professore di tedesco alla Vanderbilt University di Nashville, Tennessee, pubblicò ''White Spirituals in the Southern Uplands'', il primo di una serie di studi che documentarono l'esistenza degli white spirituals, sia nella tradizione orale che in forma pubblicata nei libri di canto col sistema ''shape-note'' (a note figurate) delle comunità rurali. Anche in Europa è attestata l'esistenza degli spirituals, come quelli dei Metodisti Primitivi inglesi descritti da Anne Gilchrist nel 1927.

17. Lo spiritual nero delle origini

Nel nord America del XVIII secolo, agli schiavi non era concesso di praticare un proprio culto; il canto afro-americano nacque nei campi e nelle chiese: in particolare, gli spirituals neri ebbero origine dalla fusione della musica religiosa africana con il cristianesimo dei proprietari di schiavi e con gli inni cristiani.
Perciò essi utilizzarono le tradizioni della loro cultura, miscelandole con i nuovi inni insegnati loro nelle chiese bianche.
Gli spirituals afro-americani come li conosciamo oggi iniziarono negli ultimi decenni del 1700; tuttavia le notizie in nostro possesso sono piuttosto scarse. Infatti, molti scrittori nel XVIII secolo e agli inizi del XIX parlarono dell'argomento, ma pochi commentarono le canzoni in dettaglio.
Fanny Kemble, attrice inglese moglie di un proprietario di schiavi, annotò nel suo diario nel 1839 la descrizione di un funerale afro-americano in cui tutti cantavano all'unisono e dove non c'era alcunché di polifonico, neppure accennato.Ella, tuttavia, non annotò i testi che udì, per cui non sappiamo di quali canti parlasse.
Intorno al 1860 il colonnello Thomas Wentworth Higginson, al comando di un reggimento nero, scrisse attentamente i testi delle canzoni che sentiva dai suoi uomini, canzoni che per quei ragazzi - scriveva il colonnello - erano "a tie to heaven" (un legame al paradiso); i testi di alcune di queste furono successivamente inclusi nelle sue memorie pubblicate nel 1870, per esempio:

I know moon-rise, I know star-rise, Lay dis body down. I walk in de moonlight, I walk in de starlight, To lay dis body down.

Come si vede, era già formata la struttura tipica degli spirituals: una linea alternata e un ritornello che consentiva l'improvvisazione illimitata.
Nel 1867 William Francis Allen, Charles Pickard Ware e Lucy McKim Garrison pubblicarono "Slave Songs of the United States", una collezione che includeva alcuni degli spirituals più noti e che ancora sopravvivono ai giorni nostri, tra cui "Old ship of Zion", "Lay this body down", "We will march through the valley" e la notissima  "Michael, row the boat ashore". Gli autori confermarono l'assenza di canto polifonico così come lo intendiamo noi, ma aggiunsero che nemmeno due sembrava cantassero la stessa cosa. Il solista, che spesso improvvisava, era generalmente sostenuto da "basers" che fornivano uno sfondo vocale e interpolazioni varie. Il canto risultante abbondava in slittamenti da una nota a un'altra, giri e cadenze in note non articolate, un effetto ritmico curioso prodotto da singole voci squillanti a diversi intervalli irregolari; il tutto in un insieme armonico che i tre autori rimpiansero di non saper trasmettere in notazione.

Una delle forme più diffuse erano gli "shouts" (lett. grida).Alla fine della funzione religiosa, nella misera praise house, i partecipanti, uomini, donne e ministri del culto, formavano uno "ring shout" (grido ad anello), un retaggio delle danze africane. Appena partiva il canto dello spiritual, l'anello di persone cominciava a muoversi, prima lentamente e poi sempre più in fretta, mentre la medesima frase musicale veniva ripetuta incessantemente per ore ed ore. Ciò aveva come effetto uno stato di estasi, che portava le donne a "gridare" e molti a cadere per terra in preda ad una sorta di trance.

Un'altra forma di spiritual di quel tempo erano i "moans" ("gemiti"), che non aveva significato di dolore, ma un modo di eseguire una canzone in stato di beatitudine, con variazioni melodiche estemporanee.
Durante il periodo della schiavitù (e anche dopo) le canzoni talvolta recavano messaggi simbolici e criptati di informazione alla comunità afro-americana; per esempio, "home" (casa) significava un luogo di libertà, mentre "The Gospel Train" (Il treno evangelico) indicava la Underground Railroad, cioè la rete clandestina di itinerari segreti e luoghi sicuri utilizzati dagli schiavi per fuggire negli stati liberi