Le emigrazioni. Fra dubbi, speranze

L'immigrazione degli italiani

Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, nessun Paese europeo contava tanti emigranti come l'Italia. Una delle mete prescelte erano gli Stati Uniti e, in particolare, la città di New York. Se in una prima fase il numero più alto di migranti proveniva dalle regioni dell’Italia settentrionale (Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia), negli anni 1901-1915 la tendenza cambia radicalmente e sono le regioni meridionali – Sicilia in testa – a vedere la propria popolazione andare in America a cercare fortunal video, mette in luce la storia degli italiani tra il 1880 e 1915 quando milioni di italiani emigrarono negli Stati Uniti per poter avere un futuro dignitoso. Così erano descritti gli italiani emigrati in America nei primi anni del Novecento. In queste dure parole si legge a chiare lettere tutto il razzismo che si respirava tra la popolazione americana e i pregiudizi diffusi verso i nostri connazionali fuggiti per disperazione e povertà a malincuore dall’Italia, loro amata terra natale. 

Oggi, molti italiani, dimentichi del nostro passato, si comportano come gli americani di allora: dimostrano ostilità e hanno pregiudizi verso i nuovi disperati che provengono dalle coste africane, dai deserti lontani, da scenari di guerra, rischiando la vita attraversando mari e monti nella speranza di trovare nuove opportunità in un altro paese. In un breve testo argomentativo esprimi le tue opinioni e i tuoi punti di vista sottolineando se la visione del video è stata importante per riflettere e acquisire nuove conoscenze su un fenomeno quale l’emigrazione, ancora oggi di grande attualità. Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano. Fanno molti figli che faticano a mantenere. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Così erano descritti gli italiani emigrati in America nei primi anni del Novecento. In queste dure parole si legge a chiare lettere tutto il razzismo che si respirava tra la popolazione americana e i pregiudizi diffusi verso i nostri connazionali fuggiti per disperazione e povertà a malincuore dall’Italia, loro amata terra natale. 

Oggi, molti italiani, dimentichi del nostro passato, si comportano come gli americani di allora: dimostrano ostilità e hanno pregiudizi verso i nuovi disperati che provengono dalle coste africane, dai deserti lontani, da scenari di guerra, rischiando la vita attraversando mari e monti nella speranza di trovare nuove opportunità in un altro paese.Alcuni dati relativi al nostro Paese possono dare la misura della consistenza dei flussi migratori tra fine Ottocento e inizio Novecento. Si calcola infatti che tra il 1876 e il 1915 circa 7,5 milioni di italiani siano emigrati nelle Americhe, dapprima specialmente in Argentina e in Brasile e poi soprattutto negli Stati Uniti. In quest’ultimo Paese tra il 1896 e il 1905 sono entrati in media 130.000 italiani all’anno, divenuti poi 300.000 nel 1905 e 376.000 nel 1913. E come accade oggi nel Mediterraneo, anche allora i viaggi transoceanici dei migranti sono avvenuti in condizioni disperate: con la mediazione di spregiudicati avventurieri, su imbarcazioni quasi sempre inadeguate, stipate oltre misura di uomini, donne e bambini, spesso ricettacoli di gravissime epidemie e talora destinate a drammatici naufragi. Di solito chi parte dalle regioni del Nord si imbarca a Genova o a Le Havre in Francia. Chi parte dal Sud invece si imbarca a Napoli. Una volta arrivati nella baia di New York, superato l’umiliante filtro dell’ufficio immigrazione di Ellis Island, per i migranti inizia la difficile integrazione. Tra il 1892 e il 1954 (anno della sua chiusura), sono circa 20 milioni gli uomini, le donne e i bambini che hanno fatto tappa nell’immigration point di Ellis Island, un piccolo isolotto poco distante da Manhattan, dove gli immigrati sono sottoposti a controlli medici prima di essere accettati sul suolo americano. Negli Stati Uniti che da poco avevano abolito la schiavitù si diceva che gli italiani non erano bianchi, «ma nemmeno palesemente negri». 

In Australia, altra destinazione, erano definiti «l’invasione delle pelle oliva». E poi ancora «una razza inferiore» o una «stirpe di assassini, anarchici e mafiosi». E il presidente Usa Richard Nixon intercettato nel 1973 fu il più chiaro di tutti. Disse: «non sono come noi. La differenza sta nell’odore diverso, nell’aspetto diverso, nel modo di agire diverso. Il guaio è che non si riesce a trovarne uno che sia onesto». Fra il 1884 ed il 1939 sono entrati in Brasile oltre 4 milioni di persone. In Brasile i nostri emigranti sono chiamati spesso a sostituire gli schiavi dopo l’abolizione della schiavitù in quel paese. Nel 1920 partono quasi 10.000 italiani, nonostante le autorità della Penisola segnalino le pessime condizioni di lavoro nelle fazendas e le tristissime condizioni igieniche delle campagne brasiliane, sottolineando un tasso della mortalità infantile di quasi il 50%. La prima ondata di emigranti è prevalentemente di origine veneta. Gli italiani che arrivano successivamente, per lo più contadini, seguono lo sviluppo delle piantagioni di caffè insediandosi nella regione di San Paolo. Gli italiani che arrivano in Brasile a quei tempi, a differenza dei tedeschi o dei portoghesi, non rappresentano ancora una cultura e una coscienza nazionale, non hanno in comune, fra i vari gruppi di provenienza, nemmeno la lingua.Nel periodo tra le due guerre si ha in tutto il mondo una riduzione dell’emigrazione verso gli altri continenti a causa delle limitazioni imposte da alcuni Paesi. 

Negli Usa l’immigrazione dall’Italia si ferma con la Prima guerra mondiale. Nel 1921 l’Emergency quota act impone un tetto al numero di immigrati provenienti dall’Europa dell’Est e del Sud in quanto si ritiene che popoli come quelli italiani siano meno assimilabili. Nel 1934 anche il Brasile restringe rigidamente l’arrivo degli immigrati. L’emigrazione viene limitata anche dal governo fascista (1922-1943), che mira a fare dell’Italia una grande potenza europea con un forte esercito e per questo ha bisogno che gli uomini rimangano in patria. Tuttavia il fenomeno dell’emigrazione non si arresta e gli italiani continuano a partire.Con la Seconda guerra mondiale, grazie all’arruolamento nell’esercito statunitense di molti italo-americani, l’integrazione ha fatto concreti passi avanti. Forse anche per questo nel secondo dopoguerra si ha una ripresa dell’emigrazione dall’Italia agli Usa. Ma ormai si è aperta una nuova rotta verso l’Europa del Nord: Francia, Germania e Belgio divengono le mete più gettonate. Eppure nemmeno qui i nostri connazionali vengono accolti a braccia aperte, anche perché il 50% parte come clandestino, senza lavoro. Sfidando leggi e pregiudizi e assediando frontiere nell’irriducibile speranza di garantirsi una vita migliore.

L'immigrazione ai nostri giorni

Le cause della migrazione sono numerose e vanno da sicurezza, demografia e diritti umani fino al cambiamento climaticoIl 1° gennaio 2019 erano 21,8 milioni i cittadini di paesi extraeuropei che risiedevano nell’UE, pari al 4,9% della popolazione dei 27 paesi membri. Nella stessa data erano invece 13,3 milioni i cittadini europei residenti in un paese membro diverso da quello di provenienza.Perché le persone migrano verso l’Europa e tra i paesi UE?I fattori di spinta sono i motivi che spingono le persone a lasciare il proprio paese. I fattori di attrazione sono invece i motivi per cui le persone si spostano verso un determinato paese. Ci sono tre principali fattori di spinta e di attrazione: fattori socio-politici, fattori demografici ed economici e fattori ambientali.

Tra i motivi socio-politici che spingono le persone a scappare dal proprio paese ci sono le persecuzioni etniche, religiose, razziali, politiche e culturali. Anche la guerra o la minaccia di un conflitto e la persecuzione da parte dello stato sono fattori determinanti per la migrazione. Coloro che fuggono da conflitti armati, violazioni dei diritti umani o persecuzioni possono essere definiti profughi o migranti umanitari. Questa loro condizione influenza la loro destinazione, in quanto ci sono paesi che hanno un approccio più liberale di altri per per quanto riguarda l’accoglienza dei richiedenti asilo. Questi migranti vengono accolti solitamente nel paese più vicino che accetta richiedenti asilo.Negli ultimi anni le persone arrivano in Europa per fuggire da conflitti, terrore e persecuzione nel paese d’origine. Nel 2019, nell’UE è stato riconosciuto lo statuto di protezione a 295.800 richiedenti asilo, oltre un quarto dei quali provenienti dalla Siria, seguiti da profughi afgani e iracheni.

I cambiamenti demografici determinano come le persone si spostano e migrano. Fattori come l’invecchiamento o la crescita della popolazione possono influire sia sulle opportunità lavorative nei paesi d’origine sia sulle politiche d’immigrazione nei paesi di destinazione.L’immigrazione demografica ed economica è legata a condizioni di lavoro, disoccupazione e stato di salute generale dell’economia di un paese. Tra i fattori di attrazione ci sono salari più alti, maggiori possibilità di lavoro, miglior qualità di vita e opportunità di studio. Se le condizioni economiche non sono favorevoli e sono a rischio di ulteriore declino, le persone tenderanno a spostarsi verso paesi con prospettive migliori. Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite, nel 2017 erano circa 164 milioni i lavoratori migranti nel mondo, cioè le persone che si spostano per trovare lavoro, pari ai due terzi dei migranti internazionali. Quasi il 70% si trovava in paesi ad alto reddito, il 18,6% in paesi a reddito medio-alto, il 10,1% in paesi a reddito medio-basso e il 3,4% in paesi a basso reddito.L’ambiente è da sempre una delle cause della migrazione: le persone scappano da disastri naturali come inondazioni, uragani e terremoti. Con i cambiamenti climatici si prevede un peggioramento degli eventi climatici estremi e quindi un aumento del numero di persone in movimento.Secondo l’Organizzazione mondiale per le migrazioni, “i migranti ambientali sono coloro che a causa di improvvisi o graduali cambiamenti ambientali, che colpiscono negativamente la loro vita o condizioni di vita, sono obbligati a lasciare la propria abitazione, temporaneamente o in modo permanente, e che si spostano in un’altra area del proprio paese o all’estero.

”Fattori come crescita della popolazione, povertà, sicurezza umana e conflitti rendono difficile calcolare con precisione il numero di migranti ambientali presenti nel mondo. Le stime variano dai 25 milioni a un miliardo di migranti ambientali entro il 2050.Gestire in modo efficace i flussi migratori, occupandosi di richieste d’asilo e protezione delle frontiere esterne, è da molti anni una delle priorità dell’UE. Il 23 settembre del 2020 la Commissione europea ha proposto un nuovo patto sulla migrazione e l'asilo che definisce procedure migliori e più veloci per tutto il sistema europeo di gestione della migrazione. Il nuovo patto è una revisione del regolamento di Dublino, il quale stabilisce quale paese è responsabile dell’avvio di ciascuna procedura di asilo.